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110 I. L. CARAGIALE


nel guardarmi. Ritenni il cavallo al passo, fischiando una canzone per conto mio, fin che voltando dietro la siepe per avviarmi sulla strada maestra, il quadro scomparve. Dissi: Avanti! cammina! e feci il segno della croce: allora sentii distintamente l’urto dell’uscio e un gemito di gatto. La padrona sapendo che non la vedevano più, era rientrata al caldo, e nel chiudere la porta aveva pestato il gattone, probabilmente. Che diavolo di gatto! si mette sempre tra i piedi della gente...

Avevo viaggiato un bel pezzo. La bufera diveniva più forte e mi scuotevo sulla sella. In alto, nuvole opache volavano come spinte dallo spavento d’una punizione divina, le une di sotto, verso la pianura, le altre di sopra, verso la montagna, coprendo di tratto in tratto di strisce, ora larghe ora sottili la luce stanca dell’ultimo quarto di luna. Il freddo umido mi penetrava, sentivo i miei polpacci e le braccia ghiacciate... Avanzando con la testa china per non esser soffocato dal vento, cominciai a sentire dolori alla nuca, alla fronte; le tempie mi bruciavano e negli occhi sentivo un ronzio. Ho bevuto troppo! pensai, tirando il berrettone sulla nuca e alzando la fronte verso il cielo. Ma la corsa delle