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C’era l’apostolo invasato, da un’idealità superiore, che nel Reparto d’Assalto trovava il mezzo più completo e più eroico per raggiungere la sua idealità; e c’era il dilettante del coltello, che vedeva portato a dignità d’arme nazionale il suo tanto perseguitato e calunniato «compagno di ventura».
C’era il sentimento idealista che vedeva in questi Battaglioni della Morte un rinnovato garibaldinismo; e lo scavezzacollo dall’energia straripante, che aveva bisogno d’uscire dal monotono grigiore dei pesanti reggimenti di fanteria.
C’era — perchè no? — qualche reduce dalle patrie galere, che chiedeva alla Patria il modo di riabilitarsi; ma c’era anche l’italiano purissimo, consapevole e geniale, che non aveva deviato un istante dalla sua divina missione di pattugliere avanzatissimo di ogni marcia ideale o reale.
Tutti spinti da una sola volontà: uccidere quanti più austriaci era possibile; tutti ispirati da una stessa religione: la Vittoria; tutti muniti di una magnifica arma comune: il coraggio.
Il coraggio era il segno di riconoscimento che affratellava il pallido sognatore all’ex-accoltellatore, l’aristocratico senza l’r al futurista, il ginnasta all’idealista.
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