Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/115

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RIMENATA DEL BURATTO

Voi non areste compitamente il vostro dovere, messer Lodovico Castel vetro, se non ve ne déssi una scossa anch’io di mia mano: perché non basta che ’l Predella abbia presa e sostenuta la difensione del Caro, né ch’egli abbia mostro quanto leggiermente e malignamente avete ripreso lui; che bisogna riprendere e castigar voi, e mostrare al mondo, in qualche parte, chi voi siete e quel che sapete. E per cerner la farina dalla crusca, secondo il mio mistiero, comincerò un poco a dimenarmivi intorno. E prima, quanto al sapere, che sapete voi, per vostra fé (lasciamo star dell’altre cose), spezialmente di questa lingua, che ne volete fare il gonfaloniero, e non ne siete pur tavolaccino? Vi siete nato dentro forse, o non siete voi da Modena? L’avete forse lungamente praticata? Io non so giá quanto, né quando vi siate stato in Toscana; ma so bene che, una volta che foste in Firenze, v’imparaste di fare a’ sassi e d’armeggiare piu tosto che di scrivere o di favellare. L’avete studiata su’ libri? Avertite che’l Calepino in volgare e la Fabrica del mondo ed’anco il Falcone (mi farete dire) non bastano a mostrarvela tutta: vedetelo che v’hanno fatto parere un’oca, a non aver nell’alfabeto loro le parole usate dal Caro, donde avete preso il granchio di confinarle in sul viso al Boccaccio. A voler far lo satrapo delle lingue ci si richiede piú studio, piú pratica e piú cervello che non avete voi: a volerla poi scrivere e giudicare gli scritti degli altri, altro ci vuole che darvi ad intendere che ’l Petrarca e ’l Boccaccio vi parlino all’orecchio; percioché io non son di quelli, i quali credono che questa lingua sia finita in questi valentuomini, non essendo ella ancor morta. Ma questa non è considerazione da trattarla coi cacastecchi: basta, che io tengo per ora che né i vostri studi, né i vostri repertori siano tali