Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/165

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suo, d’aver fatto uccidere un uomo cosi valente e cosi innocente come era quello? E perché poi? Per aver presa la difension d’una canzone del Caro, anzi della veritá stessa. Perché, se ’1 Caro non lo conosceva, e non era conosciuto da lui, non si può dire che la prendesse per suo conto. L’ha fatto uccidere, per voler sostenere il vero, per farsi incontro alla calunnia sua e per dir mal della sua maledicenza. — E con queste e con molte altre circostanze aggravano questo vostro misfatto, per modo che per tutto se ne fa gran rumore. E quando sia come dicono, a me non basta piú l’animo di parlar de’ fatti vostri : anzi, che se non ve ne giustificate, io non voglio aver piú né lega né corrispondenza né sorte alcuna di comerzio con esso voi; percioché io presi l’amicizia vostra, perché mi foste dato per malèdico e non per malefattore: credevo che voi foste, come dire, un Timone, che déste delle sassate ad ognuno, ma non giá che foste uno scavezzacollo ed uno scherano. Dalla lingua alle mani, dalla penna al ferro e dall’inchiostro al sangue è una gran differenza. E se mi somigliate nel mal dire, mi siete diverso in tutte l’altre cose. Io voglio dir male e non farne, e voi ne volete dire e fare; io riprendo i vizi, e voi deprimete le virtú; il mio fine è di scoprire il vero, il vostro d’introdurre il falso: io, dicendo ragionevolmente mal d’altri, non mi curo che ne sia detto a torto di me; voi a torto ne dite d’ognuno, e non volete che a ragione se ne dica di voi:.e quel ch’importa piú, io per dir la veritá sono storpiato e monco tutto, e voi, per sostentar la bugia, fate uccider la gente. Or io vi replico che, se questo è vero, io non voglio piú vostra pratica; che se mi sono state tagliate le gambe e le braccia per mal dire, non vorrei però che mi fosse tagliato il collo per mal fare o per tenere il sacco a chi ne fa. Ma, per Spiccarmi giustificatamente da voi, voglio prima stare a vedere se questa cosa si verifica. Intanto vedete come di qua le genti la ’ntendono. Cingetevi le tempie di questa corona che, a similitudine di quella di nove stelle, v’hanno fatto di nove sonetti, con certe rime dell’uno intrecciate con quelle dell’altro, e tutti insieme per modo che, tornando l’ultimo nel primo, vi vengono