Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/210

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Pilucca. E che può essere meglio, che ’l padrone sia morto?

Marabeo. Tel dirò io: la padrona è innamorata.

Pilucca. Buona! e t’intendo. Tu vuoi dire che la mia nuova serve per assicurarci di quello che s’è buscato fino a ora, e la tua a poter buscar per innanzi.

Marabeo. Oh madesi ! La padrona all’amore e noi alla robba; si che questa fedeltá e queste coscienze son cose da morirsi di fame e di freddo. Della robba, Pilucca, della robba, se volemo esser galantuomini; e se i nostri non ce ne hanno lasciata, e costoro non hanno tanta discrezione che ce ne diano, se non abbiamo arte da guadagnarne, se la fatica non ci è sana, è cosi gran cosa che ci vagliamo delle nostre mani? A ogni modo, manco male morir di fune che di stento: l’hai tu inteso, Pilucca?

Pilucca. Benissimo; e mi piace questa dottrina. Di chi è ella? De’ peripoteci o de’ stronzici?

Marabeo. Che vuoi fare di questi alfabecochi? Bisogna altro che i lor sogni a viverci. Ma che vuol dir che la Nuta vien cosi infuriata?

Nuta. Ah traditoraccio poltrone! Perciò non volevi tu che io ti entrassi piú in casa? Per questo, quando avevi le renelle, quando il fianco e quando il canchero che ti venga!

Marabeo. Che cosa è questa, Nuta?

Nuta. Che cosa? Ah ! manigoldo.

Marabeo. Oi la barba! oi! oi!

Pilucca. Ah! ah! ah!

Nuta. Robba fresca volevi, grimo porco; ma ti pentirai, ti so dir. Donne per forza, ah?

Marabeo. Che donne?

Nuta. Si sa ben, si, vecchio lussurioso.

Pilucca. Ah! ah! ah!

Marabeo. Nuta mia!

Nuta. Per forza, ah?

Marabeo. Sta’ un pochetto, Nuta.

Nuta. Voglio che lo sappia ognuno.

Marabeo. Non gridar si forte almanco.

Nuta. Donne per forza, per forza?