Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/240

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Pilucca. Il mal venuto sará egli per ognuno. Sa della padrona che sia rimaritata?

Marabeo. Sa questo, e dell’altre cose ch’io gli ho dette. Ma fidomi io di te, Pilucca?

Pilucca. Ah, Marabeo! tu hai torto. Io ci sto pur per la pelle ancor io.

Marabeo. Or vien’ qua: l’avere impedito che la padrona non pigli Gisippo, non basta; ché, se quegli era il cancaro, questi è la peste. Tu sai che bestiaccia è costui. Tu hai portato falsamente la certezza della sua morte; io gli ho menato le mani adosso, e tu non te le tenesti a cintola avanti che partissi: si truova scornato della moglie; è pazzo, arrabbiato, disperato: trista la puttana che ci fece, se non ce lo leviamo dinanzi.

Pilucca. Io filo di paura.

Marabeo. Ed io spirito.

Pilucca. Che faremo dunque?

Marabeo. Due vie ci sono a liberarci da lui: l’una, metterlo alle mani con Gisippo, l’altra in discordia con madonna: per quella lo potremo far mal capitare; per questa li daremo per un pezzo da pensare ad altro che a noi. Io ho fino a ora incaminata l’una e l’altra. Gli ho rapporto di madonna, che avea caro che fosse morto, che spasima d’esser moglie di questo Gisippo, e che questa sera la doveva sposare: pensa se ’l diavolo gli è entrato adosso. Contra a Gisippo l’ho avvertito ch’egli ha una bellissima occasione di vendicarsi, essendo tenuto per morto, e non si sapendo da persona che sia tornato. Questo sará, come si dice, o che ’l sabbato amazzerá il venerdí, o ’l venerdí amazzerá il sabbato; e l’uno d’essi resterá morto, o l’altro s’anderá con Dio; e saremo liberi di nuovo da tutti due.

Pilucca. E volemo commettere tanto gran male?

Marabeo. Ruini il mondo, purché stiamo ben noi. Bisogna risolversi, o d’essere tristo affatto o di non impacciarsene.

Pilucca. E come gli metteremo alle mani?

Marabeo. A questo non mancherá modo: ma s’ha da far prima un altro bel tratto. E forse che non sará bello? D’un pericolo della vita voglio cavarne un guadagno di cento scudi.