Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/329

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tutti gli altri insieme non avrebbon fatto. Il coglitor d’essi, per paura d’arrischiarsi tant’alto, avea lasciato di córlo, credo perché destinato fosse ch’alle mani d’un qualche innamorato capitasse. Dafni dunque, tosto che ’l vide, si volle rampicar su per córlo; e la Cloe, per paura che non cadesse, lo rattenne; ma poscia ch’ella, delle greggi ricordandosi, lasciato lui, se n’andò per rivederle, Dafni, ritornando a salir per il pomo, lo colse, e portatogliene a donare, percioché ella adiratetta anzi che no se ne mostrava, porgendogliene, l’accompagnò con queste parole: — Per te, fanciulla mia bella, questo bel pomo da questa bella stagione è stato prodotto, per te da si bella pianta era stato nutrito, per te il sole l’avea maturato, per te la fortuna l’ha conservato: come potevo io dunque, avendo occhi, lasciarlo cader per terra, perché il bestiame il calpestasse, perché qualche serpe l’avvelenasse o perché ’l tempo lo ’nfradiciasse, massimamente avendolo tu veduto e lodato? Questo fu il premio della bellezza di Venere: questo ti do io per merto della tua vaghezza. Uguali giudici avete ambedue: ella un pastore e tu un capraro. — Cosi dicendo, e ’l pomo baciando, in seno gliel mise; e la Cloe, tutta rasserenata, baciò lui dolcissimamente: talché non si penti d’essere a si perigliosa altezza salito, avendone un bacio avuto, che né ’l suo pomo, né se quel d’oro fosse stato, di gran lunga il valeva.