Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/340

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tocco sentissi della sampogna di Dafni e che egli solamente mi menasse a pascere. Ma voi, padron mio, salvate la vita al vostro Gnatone, e vincete questo invitto suo amore: altramente io vi giuro, per li sacrifici della vostra cucina e per la divinitá della vostra cantina, che un giorno davanti alla porta di Dafni, quando avrò ben pieno il corpo, mi frugherò tanto con coltello di punta, che m’uscirá ’l fiato; ed allora non mi chiamerete piú, come siete uso, il vostro Gnatonino. — Cosi detto, con gli occhi tutti imbambolati, egli si gittava di nuovo a baciargli i piedi; ma ’l donzello nobile e d’alto core, che delle forze d’Amore non era del tutto rozzo, non sofferendo piú oltre: — Sta’ su — disse, — il mio Gnatone, e consolati, ché io ti prometto di farlomi dare a mio padre e condurlo alla cittá, dove a me per ragazzo ed a te per paggio voglio che serva. — Poscia, per alquanto beffarlo, soggiunse: — Ma non ti vergogni tu d’essere innamorato d’un figliuol di Lamone e di voler in braccio un cotal guardacapre? — E fece con le labbra e col naso un certo niffolino, come mostrando d’aver a schifo quel lezzo caprino e quel fortore cosi sapiente de’ becchi. Ma Gnatone, che, per la pratica di molti conviti d’uomini lascivi, era assai bene introdotto nei ragionamenti d’amore, non fuor di proposito, e di sé e di Dafni cosi rispose: — Nessun innamorato, padron mio, cerca queste cose, ma s’invaghisce del bello, in qualunque corpo trovi bellezza. E per questo altri hanno amato una pianta, altri un fiume, altri una fera; e tutta volta chi non dovrebbe aver pietá dell’amante, sendo per viva forza costretto a riverir la cosa amata? Se’l corpo ch’io amo è servo e villano, la bellezza che m’innamora è libera e gentile. Mirate a quella sua chioma, se non par d’un giacinto; a quegli occhi, con tanta grazia commessi in quelle sue ciglia, se non paiono due gioie legate in oro: quel volto colorito, quella bocca vermiglia, quei denti d’avolio: e chi sarebbe quegli che non spasimasse di cosi bianchi baci? Se sono innamorato d’un pastore, in ciò son io somigliante agli dèi. Anchise era bifolco, e Venere lo si godè. Branco era capraro, ed Apollo se ne invaghi. Ganimede fu pastore, e Giove lo rapi. Perché avemo dunque a dispregiare un fanciullo, di