Pagina:Castiglione - Il libro del Cortegiano.djvu/20

Da Wikisource.
4 dedica dell'autore


ed eleganza nella pronunzia, e son tenuti communemente per buoni e significativi, benchè non siano toscani, ed ancor abbiano origine di fuor d’Italia, Oltre a questo, usansi in Toscana molti vocaboli chiaramente corrotti dal latino, li quali nella Lombardia e nell’altre parti d’Italia son rimasti integri e senza mutazione alcuna, e tanto universalmente s’usano per ognuno, che dalli nobili sono ammessi per buoni, e dal volgo intesi senza difficoltà. Perciò, non penso aver commesso errore, se io scrivendo ho usato alcuni di questi, e piuttosto pigliato l’integro e sincero della patria mia, che ’l corrotto e guasto della aliena. Nè mi par buona regola quella che dicon molti, che la lingua volgar tanto è più bella, quanto è men simile alla latina; nè comprendo perchè ad una consuetudine di parlare si debba dar tanto maggiore autorità che all’altra, che, se la toscana basta per nobilitare i vocaboli latini corrotti e manchi, e dar loro tanta grazia che, così mutilati, ognun possa usarli per buoni (il che non si nega), la lombarda o qualsivoglia altra non debba poter sostener li medesimi latini puri, integri, proprii, e non mutati in parte alcuna, tanto che siano tolerabili. E veramente, sì come il voler formar vocaboli nuovi o mantenere gli antichi in dispetto della consuetudine, dir si può temeraria presunzione: così il voler contra la forza della medesima consuetudine distruggere e quasi sepelir vivi quelli che durano già molti secoli, e col scudo della usanza si son difesi dalla invidia del tempo, ed han conservato la dignità e ’l splendor loro, quando per le guerre e ruine d’Italia si son fatte le mutazioni della lingua, degli edifizii, degli abiti e costumi; oltra che sia difficile, par quasi una impietà. Perciò, se io non ho voluto scrivendo usare le parole del Boccaccio che più non s’usano in Toscana, nè sottopormi alla legge di coloro che stimano che non sia licito usar quelle che non usîno li Toscani d’oggidì, parmi meritare escusazione. Penso adunque, e nella materia del libro e nella lingua, per quanto una lingua può ajutar l’altra, aver imitato autori tanto degni di laude quanto è il Boccaccio; nè credo che mi si debba imputare per errore lo aver eletto di farmi piuttosto conoscere per Lombardo parlando lombardo, che per non Toscano parlando troppo toscano: per. non fare come Teofrasto, il qual, per parlare troppo ateniese, fu da una semplice vecchiarella conosciuto per non Ateniese. Ma perchè circa questo nel primo Libro si parla a bastanza, non dirò altro, se non che, per rimover ogni contenzione, io confesso ai miei riprensori, non sapere questa lor lingua toscana tanto difficile e recondita; e dico aver scritto nella mia, e come io parlo, ed a coloro che parlano come parl’io: e così penso non avere fatto ingiuria ad alcuno; chè, secondo me, non è proibito a chi si sia scrivere e parlare nella