va, e senza madre, lasciò signore dopo sè; il qual fu
Guid’Ubaldo. Questo, come dello stato, cosí parve che di
tutte le virtù paterne fosse erede, e subito con maravigliosa
indole cominciò a promettere tanto di sè, quanto non parea
che fosse licito sperare da uno uom mortale; di modo che
estimavano gli uomini, delli egregii fatti del duca Federico
niuno esser maggiore, che l’avere generato un tal figliolo3.
Ma la fortuna, invidiosa di tanta virtù, con ogni sua forza
s’oppose a cosí glorioso principio; talmente che, non essendo
ancor il duca Guido giunto alli venti anni, s'infermò
di podagre, le quali con atrocissimi dolori procedendo, in
poco spazio di tempo talmente tutti i membri gl'impedirono,
che nè stare in piedi nè mover si potea; e cosí restò un
dei più belli e disposti corpi del mondo deformato e guasto
nella sua verde età. E non contenta ancor di questo la fortuna,
in ogni suo disegno tanto gli fu contraria, ch’egli rare
volte trasse ad effetto cosa che desiderasse; e benchè in
esso fosse il consiglio sapientissimo e l’animo invittissimo,
parea che ciò che incominciava, e nell’arme e in ogni altra
cosa o picciola o grande, sempre male gli succedesse: e di
ciò fanno testimonio molte e diverse sue calamità, le quali
esso con tanto vigor d’animo sempre tolerò, che mai la
virtù dalla fortuna non fu superata; anzi, sprezzando con
l’animo valoroso le procelle di quella, e nella infermità come
sano e nelle avversità come fortunatissimo, vivea con
somma dignità ed estimazione appresso ognuno; di modo
che, avvenga che cosí fosse del corpo infermo, militò con
onorevolissime condizioni a servizio dei serenissimi re di
Napoli Alfonso e Ferrando minore; appresso con papa Alessandro
VI, coi signori Veneziani, e Fiorentini, Essendo. poi
asceso al pontificato Julio II, fu fatto capitan della ‘Chiesa;
nel qual tempo, seguendo il suo consueto stile, sopra ogni
altra cosa procurava che la casa sua fosse di nobilissimi e
valorosi gentiluomini piena; coi quali molto familiarmente
viveva, godendosi della conversazione di quelli: nella qual
cosa non era minor il piacer che esso ad altrui dava, che
quello che d’altrui riceveva, per esser dottissimo nell’una e
nell’altra lingua, ed aver insieme con la affabilità e piacevo-