sti nostri ragionamenti io volessi usar quelle parole antiche
o toscane, che già sono dalla consuetudine dei Toscani d’oggidì
rifiutate; e con tutto questo credo che ognun di me rideria.
XXIX. Allor messer Federico, Veramente, disse, ragionando
tra noi come or facciamo, forse saria male usar
quelle parole antiche toscane15; perchè, come voi dite, dariano
fatica a chi le dicesse ed a chi le udisse, e non senza
difficoltà sarebbono da molti intese. Ma chi scrivesse, crederei
ben io che facesse errore non usandole, perchè danno
molta grazia ed autorità alle scritture, e da esse risulta una
lingua più grave e piena di maestà che dalle moderne. Non
so, rispose il Conte, che grazia o autorità possan dar
alle scritture quelle parole che si déono fuggire, non solamente
nel modo del parlare, come or noi facciamo (il che
voi stesso confessate), ma ancor in ogni altro che imaginar
si possa. Chè se a qualsivoglia uomo di buon giudicio occorresse
far una orazione di cose gravi nel senato proprio di
Fiorenza, che è il capo di Toscana, ovver parlar privatamente
con persona di grado in quella città di negozii importanti,
o ancor con chi fosse dimestichissimo di cose piacevoli,
con donne o cavalieri d’amore, o burlando o scherzando
in feste, giochi, o dove si sia, o in qualsivoglia tempo,
loco o proposito, son certo che si guardarebbe d’usar quelle
parole antiche toscane; ed usandole, oltre al far far beffe di
sè, darebbe non poco fastidio a ciascun che lo ascoltasse.
Parmi adunque molto strana cosa usare nello scrivere per
buone quelle parole, che si fuggono per viziose in ogni sorte
di parlare; e voler che quello che mai non si conviene nel
parlare, sia il più conveniente modo che usar si possa nello
scrivere. Chè pur, secondo me, la scrittura non è altro che
una forma di parlare, che resta ancor poi che l’uomo ha
parlato, e quasi una imagine o più presto vita delle parole:
e però nel parlare, il qual, subito uscita che è la voce, si
disperde, son forse tolerabili alcune cose che non sono nello
scrivere; perchè la scrittura conserva le parole, e le sottopone
al giudicio di chi legge, e dà tempo di considerarle
maturamente. E perciò è ragionevole che in questa si metta