Pagina:Caterina da Siena – Libro della divina dottrina, 1912 – BEIC 1785736.djvu/25

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che Io piu amo e odiando quello che Io piú odio. Ché «discrezione» non è altro che uno vero cognoscimento che l’anima debba avere di sé e di me; in questo cognoscimento tiene le sue radici.

Ella è uno figliuolo che è innestato e unito con la caritá. È vero che ha molti figliuoli, si come uno arbore che abbi molti rami; ma quello che dá vita a l’arbore e a’ rami è la radice se ella è piantata nella terra de l’umilitá (la quale è balia e nutrice della caritá), dove egli sta innestato questo figliuolo e arbore della discrezione. Ché altrementi non sarebbe virtú di discrezione e non producerebbe fructo di vita, se ella non fusse piantata nella virtú de l’umilitá, perché l’umilitá procede dal cognoscimento che l’anima ha di sé. E giá ti dixi che la radice della discrezione era uno vero cognoscimento di sé e della mia bontá; unde subbito rende a ogniuno discretamente il debito suo.

E principalmente il rende a me, rendendo gloria e loda al nome mio; e retribuisce a me le grazie e i doni che vede e cognosce avere ricevuti da me. E a sé rende quello che si vede avere meritato, cognoscendo sé non essere; e l’essere suo, el quale ha, cognosce avere avuto per grazia da me; e ogni altra grazia, che ha ricevuta sopra l’essere, la retribuisce a me e non a sé. Parie essere ingrata a tanti benefizi e negligente in non avere exercitato il tempo e le grazie ricevute, e però le pare essere degna delle pene. Alora si rende odio e dispiacimento nelle colpe sue.

E questo fa la virtú della discrezione, fondata nel cognoscimento di sé con vera umilitá. Ché se questa umilitá non fusse ne l’anima (come decto è), sarebbe indiscreta e non discreta. La quale indiscrezione sarebbe posta nella superbia, come la discrezione è posta ne l’umilitá. E però indiscretamente, si come ladro, furarebbe l’onore a me e darebbelo a sé per propria reputazione; e quello che è suo porrebbe a me, lagnandosi e mormorando de’ misteri miei e’ quali Io adoperasse in lui o ne l’altre mie creature; d’ogni cosa si scandelizzarebbe in me e nel proximo suo.