Pagina:Caterina da Siena – Libro della divina dottrina, 1912 – BEIC 1785736.djvu/335

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libro, e, leggendo, hanno trovato che, volendo compire l’obbedienzia mia e mostrare quanto amava il mio onore e l’umana generazione, corse con pena e obrobrio alla mensa della sanctissima croce, dove, con sua pena, mangiò il cibo de l’umana generazione. Si che, col sostenere e col mezzo de l’uomo, mostrò a me quanto amasse il mio onore.

Dico che questi dilecti figliuoli, e’ quali sonno gionti a perfectissimo stato con perseveranzia, con vigilie, umili e continue orazioni, mi dimostrano che in veritá amino me e che essi hanno bene studiato, seguitando questa sancta doctrina della mia Veritá, con loro pena e fadiga che portano per la salute del proximo loro, perché altro mezzo non hanno trovato, in cui dimostrare l’amore che hanno a me, che questo. Anco ogni altro mezzo, che ci fusse a potere dimostrare che amano, si è posto sopra questo principale mezzo della creatura che ha in sé ragione, si come in un altro luogo io ti dixi che ogni bene si faceva col mezzo del proximo tuo e ogni operazione. Perché neuno bene può essere facto se non nella caritá mia e del proximo; e, se non è facto in questa caritá, non può essere veruno bene, poniamo che gli acti suoi fussero virtuosi. E cosi el male anco si fa con questo mezzo per la privazione della caritá. Si che vedi che in questo mezzo, che Io v’ho posto, dimostrano la loro perfeczione e l’amore schiecto che hanno a me, procurando sempre la salute de’ proximi col molto sostenere. Adunque Io gli purgo, perché facciano maggiore e piú soave fructo, con le molte tribulazioni. Grande odore gicta a me la pazienzia loro.

Quanto è soave e dolce questo fructo e di quanta utilitá a l’anima che sostiene senza colpa! Ché, se ella el vedesse, non sarebbe veruna che con grande sollicitudine e allegrezza non cercasse di portare. Io, per dar lo’ questo grande tesoro, gli prò veggo di poner lo’ il peso delle molte fadighe, acciò che la virtú della pazienzia non irrugginisca in loro; si che, venendo poi el tempo che ella bisogna provare, non la trovassero ruginosa, trovandovi, per non averla abituata, la ruggine della inpazienzia, la quale rode l’anima.