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Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/128

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122 la fortuna dei carmi di catullo

chiamar benemeriti, avevano una cura e un’abilità speciale a cancellare quanti codici antichi lor cascassero fra mani, per iscrivacchiare su di essi i loro isterici sermoni e le loro barbare laudi spirituali: ellere parassite e stupidi rami di zucca, che s’abbarbicavano attorno alla statua di Giove, e ne ascondevano la bella e viril nudità. Nè questo era certamente il maggior male. Quando non sostituivano, disperdevano, cacciavano in fondo a’ sotterranei, seppellivano quei grandi morti dell’antichità, che avrebbero richiamato il pensiero umano alla terra, quando era più mestieri che si rivolgesse al cielo, dimenticasse la vita, aspettasse con rassegnazione l’imminente giudizio di Dio. Le grandi ombre di Omero, d’Erodoto, di Cicerone, di Pindaro e di Catullo gemevano in fondo all’oscura torre del monastero di San Gallo, o agl’immondi sotterranei di Monte Cassino; e quando la voce del nostro Aurispa e del Bracciolini le richiamarono alla luce del mondo, allora si seppe, a che segno e in che maniera quei frati fanatici ed ignoranti amassero i libri e il sapore.


IV.


Fra gli antichi libri che rimasero per lungo tempo negletti e dimenticati, e in cui, nonostante le pazienti e coscenziose cure dei dotti, si trovano ancora assai luoghi depravati ed oscuri, i carmi del nostro Catullo non sono stati certamente i più fortunati. Il suo libro rivide la luce in tale stato di disordine e di confusione, che Partenio ebbe a dire, che se il povero