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la vita di catullo.

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fa ciò che vuole, e può tutto; fa d’un vile un eroe; d’un generoso un codardo; può farci abietti o sublimi con un solo bacio; può vivificare ed uccider l’anima nostra con un sospiro.

Catullo si credette più libero, più tranquillo, più padrone di sè nel disonore; si prese perfino la famosa libertà d’andare per qualche tempo a Verona. Fu allora che Manlio gli scrisse d’aver perduta la moglie; e nel domandargli un carme che lo conforti, non tralascia di rimproverarlo di avere abbandonato il campo dell’amor suo alla folla dei giovanotti eleganti, che approfittando della sua assenza andavano a scaldar le membra nel suo tiepido letto.

Il poeta, consolando l’amico del suo cuore con una bellissima epistola, ritorna col desiderio alle prime memorie dell’amor suo; con una facilità e un’arte insuperabile passa da una cosa ad un’altra, dalla sorte dell’infelice Laodamia alla morte del suo fratello diletto; dallo stile più alto e più grave al più umile e piano; confessa finalmente, che la sua donna non si appaga più di lui solo; e ch’ei sostiene

Rari e cauti i suoi furti, onde non farsi,
Com’è da stolti, oltre il dover molesto;

e per non lasciar senza scusa cotanta vergogna, soggiunge, ch’ella infin dei conti

Da le case paterne a man condotta
Non venne a lui, spirante assirii odori
Ma a le braccia del suo proprio marito
Involandosi, a lui venne furtiva,
E in quella notte d’estasi i suoi primi
Doni soavi all’amor suo concesse;