Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/86

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80 la poesia di catullo.

perchè, ma sente d’essere infelice nell’odio e nell’amore. Il poeta manca talvolta, il patrizio si degrada ma l’uomo è sempre là; molle o fiero, tenero o mordace, impertinente o modesto, secondo i casi, ma senza maschera, così come si trova: in maniche di camicia, in semplice subucula, ignudo anche, egli non ha paura di venirvi incontro: è il solo coraggio di Romano che gli sia rimasto.

Quando sdegnato di Lesbia, stomacato dei compagni parassiti ed adulatori, stanco di orgie e di amorazzi, egli vola col pensiero nelle tranquille regioni della famiglia, allora il suo carme diventa a un tratto sereno, scorre limpido e trasparente come ruscello tra’ fiori, prende un non so che di verecondo e di verginale che ti purifica l’anima. In mezzo alle tempestose agitazioni dell’amor suo tu vedi sorgere allora siccome un’iride; fra le sozzure, in cui si piace talvolta di voltolarsi, tu senti spirare come una fresca e piacevole fragranza, che ti fa ricordare le aure pure ed imbalsamate del suo Garda natio; in mezzo all’abbandono, al deserto, all’oblio di ogni cosa vivente, oscilla una nota malinconica, soave, patetica. È la famiglia che parla all’anima del poeta; egli ridoventa buono, tranquillo, pudibondo; intuona l’inno delle nozze, dà consigli allo sposo, celebra le sante gioie domestiche, le caste delizie del talamo nuziale:


Claustra pandite ianuæ,
Virgo, ades; viden ut faces
Splendidas quatiunt comas?1

  1. Carm. LXI.