Pagina:Cesare Balbo - Delle speranze d'Italia.djvu/103

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capo settimo 71

spenta un’aristocrazia ella se ne fa una nuova, inevitabilmente; la quale può ben essere meno splendida, non ricordar co’ nomi i fatti antichi, destar minori ammirazioni ed invidie; ma che in somma, nata che è, rifa l’ufficio essenziale d’ogni aristocrazia, l’ufficio di adoprare nel governo della patria chiunque non ha necessità d’adoprarsi per le proprie sostanze. Ma l’irremediabil errore guelfo fu quello fatto per un’ira di parte, anzi per una di quelle prolungazioni d’ira, che son fatali dopo cessati i motivi e i pericoli antichi, perchè distraggono da’ pericoli presenti; per una di quelle intolleranze che sviano dallo scopo. I Guelfi del mezzodì non vollero tollerare l’ultimo resto dell’odiata schiatta sveva, Manfredi re di Puglia e Sicilia; il quale, non imperatore, non pretendente all’imperio come i maggiori, era il solo Svevo da tollerarsi, e sarebbe diventato poi egli o i figli re indipendente ed italiano. Per ciò i Guelfi rinnovaron l’errore antico di chiamare i Francesi; e con tanto minore scusa allora, che avevano cinque secoli di ulteriore sperienza, e di cresciuta civiltà. E l’errore produsse il danno solito. Carlo d’Angiò, e gli Angioini suoi discendenti, e i Francesi suoi parenti diventarono essi signori di parte guelfa, ne tolsero il capitanato ai papi, trassero ed esiliarono questi ad Avignone, e ponendo sè stessi, sè stranieri in lor luogo, sna-