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mente, quanto più assicurata è la sua condizione materiale. Questa opinione basterebbe a provare una volta di più, se fosse necessario, che ciò che oggidì si prende per arte, non ne è che la contraffazione. Infatti è vero che per produrre delle scarpe o del pane la divisione del lavoro offre grandi vantaggi; il calzolaio o il fornaio che non è costretto a cucinarsi il suo pasto o a spaccarsi la legna, può fare una maggior quantità di scarpe o di pagnotte. Ma l’arte non è un mestiere; è la trasmissione che si fa agli altri d’un sentimento provato dall’artista. E questo sentimento non può nascere in un uomo se non quando esso viva intieramente della vita naturale e vera degli uomini. Pertanto, assicurare all’artista la soddisfazione di tutti i suoi bisogni materiali, è nuocere alla sua capacità di produrre l’arte, poichè liberando l’artista dalle condizioni — comuni a tutti gli uomini — della lotta contro la natura per la conservazione della propria vita e di quella degli altri, lo si priva dell’occasione e della possibilità d’imparare a conoscere i sentimenti più importanti e più naturali degli uomini. Non c’è condizione più detestabile per la facoltà creatrice d’un artista che quella sicurezza assoluta e quel lusso, che oggi sono