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Pagina:Chi l'ha detto.djvu/391

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[1087] Ozio, industria, lavoro 359


Queste parole di S. Paolo erano, osserva Antonio Martini, «proverbio comune tra gli Ebrei ed anche presso i sapienti del paganesimo». S. Paolo in quel capitolo ricorda ai Tessalonicesi, ch’egli in mezzo alle fatiche continue e gravissime dell’apostolato, pur potendo ricevere dai cristiani il necessario pel suo sostentamento, non aveva voluto mangiare a ufo il pane di nessuno nè essere di aggravio ad alcuno, ma lavorare dì e notte, con fatica e stento, al contrario di molti che non fanno nulla ma si affaccendano senza pro. Dovrebbero leggere e meditare questo capitolo molti degli odierni «organizzatori»! Invece essi se ne valgono ma con tutt’altro intendimento. In un opuscoletto di propaganda comunista, pubblicato dalla Camera del Lavoro di Cento, e scritto dall’on. Ercole Bucco col titolo: Chi non lavora non mangi (Bologna, 1919), l’on. Giovanni Zibordi nella prefazione dice: «Il multisecolare detto di S. Paolo, che noi usammo così largamente, agli inizi della propaganda, quando, per vincere il misoneismo dei lavoratori credenti, specialmente nelle campagne, ci giovava mettere i nuovi principi del socialismo sotto l’egida degli antichi detti del Vangelo, torna di gran moda oggi e arriva a noi dalla Russia». Infatti la Costituzione o legge fondamentale della Repubblica socialista federale dei Soviet di Russia adottata dal 5° Congresso panrusso dei Soviet del 10 luglio 1918 all’art. 18 della Div. 2ª, Cap. V, dice: «La Repubblica socialista federale dei Soviet di Russia decreta il lavoro obbligatorio per tutti i cittadini della Repubblica e proclama il principio: Chi non lavora non mangia» (cito la trad. ital., esattissima del resto, pubblicata dall'Avanti! nel fasc. 1 dei «Documenti della Rivoluzione», Milano, 1919).

Certamente c’è ancor oggi chi passa la sua vita oziando, ma costoro, se non sempre ci soffrono nel ventre, ci soffrono sempre in reputazione, poichè:

1087.                          ....Seggendo in piuma
    In fama non si vien, nè sotto coltre.
Sanza la qual chi sua vita consuma.
    Cotal vestigio in terra di sè lascia
    Qual fummo in aer ed in acqua la schiuma.