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[1255] Personaggi storici e letterari 425

peratore degl’impiccati». Fu ristampato in: Confessioni e battaglie, Serie seconda. (Bologna, Zanichelli, 1902), a pag. 242. Il Carducci tolse questa terribile invettiva dall’ultima poesia del bardo ungherese Alessandro Petöfi, un brindisi sarcastico per la festa del giovane imperatore, il cui manoscritto fu trovato da Teleki fra le carte dello Stato Maggiore del generale rivoluzionario Bem, di cui il Petöfi era aiutante di campo, dopo la rotta di Segesvar in Transilvania (31 luglio 1849), dove il Petöfi stesso scomparve misteriosamente. La poesia diceva: «Possa il destino accordarti tutta la felicità che il tuo popolo ti desidera. Che i demoni visitino i tuoi sonni, maestà, re degli impiccati. Che il tuo letto sia un braciere: che il tuo cibo sia roso dai vermi: che la tua bevanda sia il sangue dei martiri: che la tua scranna si muti in patibolo». Non conosco il testo ungherese: cito la versione italiana che fu fatta conoscere da Aleardo Aleardi nella nota 17 al canto I sette soldati, nella sua raccolta di Poesie complete, pubblicata a Losanna nel 1863, nota che fu poi ripetuta in tutte le successive edizioni e che indubbiamente era conosciuta dal Carducci. Non occorre ricordare che Francesco Giuseppe per l’ungherese Petöfi era soltanto re, non imperatore.

Ma lasciamo costui e restiamo col ricordo della più nobile delle sue vittime, di Guglielmo Oberdan, alla cui memoria fu sacrata in Bologna una lapide col ritratto del Martire e una fiera epigrafe Carducci medesimo, di cui le ultime tre righe sono meritamente famose. Dice l’epigrafe:

Guglielmo Oberdan
Morto santamente per l’Italia

1255.   Terrore ammonimento rimprovero
               Ai tiranni di fuori
          Ai vigliacchi di dentro.

L’epigrafe più volte pubblicata e da prima nel Resto del Carlino di Bologna del 26 giugno 1886 si legge anche nella Serie 2ª delle Confessioni e battaglie del Carducci (Opere di G. C., vol. XII, Bologna 1902, pag. 259) dove sono pure il Discorso pronunciato dal Poeta alla Società Operaia di Bologna per lo scoprimento della lapide ― che fu dovuta porre nella sede di quel sodalizio, non aven-