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562 Chi l'ha detto? [1681-1682]

del signor Richard Horton Smith nelle Notes & Queries, IXth ser., no. 29, July 16, 1898, pag. 48, dove sono date tutte le varianti greche e latine di questo epitaffio, con la loro storia e con i raffronti classici: e altre aggiunte nella stessa rivista, no. 38, Sept. 17, pag. 229. La sola versione italiana conosciuta è quella di Luigi Alamanni:

Speme e fortuna, addio; che in porto entrai.
Schernite gli altri, ch’io vi spregio omai.

Gli amanti del riposo non potrebbero trovare argomento migliore, per giustificare i loro gusti, della sentenza aristotelica:

1681.   Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens.1

A proposito di questa singolare sentenza e delle sue fonti è ben cognito il seguente aneddoto dantesco.

Dante incontra nell’Antipurgatorio fra i neghittosi certo Belacqua, da lui già conosciuto in vita, e con esso scambia qualche parola (Purg., c. IV, v. 106-135). È anzi Belacqua che rivolge a Dante la beffarda apostrofe (loc. cit., v. 114):

1682.   .... Or va tu su, che se’ valente!

I soli commentatori che ci dicano qualche cosa di questo Belacqua, sono Benvenuto da Imola e sulle pedate di lui, con lievi aggiunte, l'Anonimo Fiorentino del sec. XIV, che nel Commento pubblicato per la prima volta dal Fanfani (to. II, pag. 74, Bologna, 1868), così ne parla: «Questo Belacqua fu uno cittadino di Firenze, artefice, et facea cotai colli di liuti et di chitarre, et era il più pigro uomo che fosse mai; et si dice di lui ch’egli venia la mattina a bottega, et ponevasi a sedere, et mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare et a dormire. Ora l'Auttore [cioè Dante] fu forte suo dimestico: molto il riprendea di questa sua nigligenzia; onde un dì, riprendendolo, Belacqua rispose colle parole d’Aristotile: Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens; di che l'Auttore gli rispose: Per certo, se per sedere si diventa savio, niuno fu mai più savio di te.»
  1. 1681.   Sedendo e riposando, l’anima diventa sapiente.