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648 Chi l’ha detto [1856]

prima luce dell’alba inargentava lo specchio d’acqua del fiume.... Mi ero avvicinato alla vedetta: Niente di nuovo? — Niente di nuovo. — Che cosa ne pensi di questa situazione? — È una vergogna. Noi dovremmo essere sull’Isonzo. Voi vecchi non avete fatto il vostro dovere! — Mi aveva preso per un suo compagno più anziano. Feci un rapido esame di coscienza, per assicurarmi di aver fatto quanto dovevo, e mi sentii tranquillo: addolorato, ma con la coscienza sicura. — Io sono il tuo comandante di Corpo d’Armata, e posso assicurarti che ho fatto il mio dovere, e che, come sempre, posso tener alta la testa e il muso duro. Tuttavia ciò che mi hai detto mi ha fatto piacere. Sta di buon animo: non passerà un anno che noi ritorneremo sull’Isonzo. Di che classe sei? — Del ’99. — Di che paese? — Di Brescia. — Buon giorno, piccolo» (Caviglia, Vittorio Veneto. Milano, «L’Eroica», 1920, a pag. 51-52).

Del resto, di sentimenti alti e gentili fra gli umili non davano prova soltanto quelli che erano al fronte. Sarebbe difficile di trovare qualcosa di più nobile delle semplici parole di un’oscura popolana rimasta dopo la ritirata sulla Piave a Fontanelle, paese del territorio invaso la quale, con un biglietto che con grande fatica riuscì a far pervenire al marito soldato al di qua del sacro fiume, gli annunciava: «Il giorno 26 febbraio ho dato alla luce una bambina e le ho messo nome Vittoria». L’episodio è narrato in un ordine del giorno del generale De Albertis, comandante del XXIX corpo d’armata, del 23 luglio 1918.

Belle anche qualcuna fra le molte iscrizioni parietali graffiti della guerra, tutte anonimissime, ma di cui certe hanno conquistato la celebrità. Per esempio quella di cui narrerò la storia, con le parole di Gabriele d’Annunzio che ne ravvivò il ricordo, poichè già i giornali del tempo ne avevano parlato. «L’Associazione del Fante Italiano aveva chiesto al Comandante un motto per la sua bandiera. Il Comandante rispose con questo scritto breve e vigoroso:

1856.   Non vogliamo encomi!

Il fante simbolico avri il suo trofeo su la groppa brulla dell’Ermada o sul calvario maledetto del San Michele, mentre il fante contadino seguiterà a curvarsi sulla terra non sua e a rosicchiare il non suo tozzo, dopo aver tenuto nel fango marcio della trincea pei