Vai al contenuto

Pagina:Chi l'ha detto.djvu/751

Da Wikisource.
[1987-1988] Frasi d’intercalare comune 719


Passiamo agli autori francesi:

1987.   Incidis in Scyllam, cupiens vitare Charybdim.1

(Gualtier De Lille, Alexandreis, lib. V, v. 301).

Questo verso di un poeta neolatino del secolo XIV non è in sostanza che un antico adagio greco che già si ritrova in Apostolio, XVI, 49 [Paræmiogr. Græci, ed. Leutsch, II, pag. 672). Non starò a ripetere qui la leggenda mitologica di Scilla e di Cariddi, conservata da Omero nell’Odissea (lib. XII. v. 85-110). Cariddi è un vortice famoso nello stretto di Messina, che forse nei tempi antichi era veramente pericoloso per i naviganti, ma ora, modificatesi lentamente le condizioni del fondo del mare, non è più che un gorgo innocente: Scilla è una rupe di fronte a Cariddi sulla costa d’Italia.

1988.   Faciamus experimentum in anima (o corpore) vili.2

È tradizione che il famoso umanista Marc’Antonio Mureto (1526-1585), fuggendo sotto povere vesti in Italia, cadesse ammalato in un villaggio del Piemonte, e si trovasse alle mani di strani medici, i quali tra loro dicevano, ritenendo che egli non li com- prendesse: Faciamus experimentum in anima (o corpore) vili. Cui il Mureto avrebbe replicato con isdegno: Vilemne animam appellas pro qua Christus non dedignatus est mori? Questa storiella si trova negli scrittori del tempo narrata in forma un poco diversa. Infatti gli Eloges des hommes savons tirez de l’Histoire de M. de Thou avec des additions par Antoine Teissier, nella 2a parte, cosi raccontano nelle Additions alla vita del Mureto: «Muret étant sorti de France, prit le chemin d’Italie, et tomba malade dans une hôtellerie. Et comme il étoit mal vêtu, et qu’il avoit mauvaise mine, les médecins qui le traitoient le prenant pour tout autre que pour ce qu’il étoit, dirent entre eux parlant latin, qu’il falloit qu’ils fissent l’essai sur ce corps vil d’un reméde qu’ils n’avoient pas encore

  1. 1987.   Cadi in Scilla, cercando di evitare Cariddi.
  2. 1988.   Facciamo l’esperienza sopra un’anima (o corpo) vile.