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[2210-2214] Sfarfalloni 793


2210.   Scoscendere il lollio dalla spica.

è una delle marchiane corbellerie che Paolo Ferrari pone in bocca al suo immortale Marchese Colombi (La Satira e Parini, a. I, sc. 5). È cosa ormai nota che questo tipo è modellato dal vero, ma su due distinti originali, il prof. Angelo Marchi, direttore del Convitto legale della università di Modena e professore di Pandette in quell’ateneo, quando vi era studente Paolo Ferrari, e un certo Filippo Chelussi. Vedasi l’importante volume su Paolo Ferrari pubblicato dal figlio Vittorio (Milano. 1899) a pag. 19, 26, 130. Di Filippo Chelussi, pisano, ma vissuto a Massa, e delle sue mellonaggini scrive a lungo Giovanni Sforza in uno studio Massa cinquant’anni fa, premesso al Bartromèo calzolaro, commedia in dialetto massese del Ferrari, stampata per la prima volta per cura dello Sforza medesimo (Firenze, 1899). Meritano di essere raccolte anche le altre minchionerie che il commediografo fa dire al suo Colombi:

2211.   Dei sonetti, corti, da far prestino,
Ma, se fosse possibile, in greco od in latino.

(a. I. sc. 5).

2212.   Insomma io resto attonito nè posso attribuire!

(a. I, sc. 6.).

Questo era proprio modo di dire prediletto dal Chelussi; e il Ferrari già se n’era valso mettendolo come intercalare del già citato Calzolaro Bartromèo (a. I, sc. 8).

2213.                       ...Io per ordinario
Fra questi sì e no son di parer contrario.

(a. I, sc. 13).

e così veramente disse una volta dalla cattedra il prof. Marchi, ma forse il Ferrari ricordò e olle parodiare i versi danteschi:

2214.             ... Io rimango in forse,
Chè sì e no nel capo mi tenzona.

(Dante, Inferno, c. VIII, v. 110―111).