Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/104

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76 capitolo iv.

Notiamo: dalla orazione agli italiani del maggio 1815 a questa lettera del 21 marzo 1817 le idee politiche del Leopardi avevano fatto molto cammino: dal campo ove egli militava soldato, non pure obbediente ma ardito, sotto la bandiera del padre, era passato puramente e semplicemente al campo avversario; e notiamo che di questo passaggio non ebbe nessun merito, o nessuna colpa, il Giordani. Anche notiamo che chi gl’insegnò ad aborrire Recanati non fu esso Giordani; il quale rispondendo alla sua lettera gli diceva: «Parmi che al savio convenga amare il suo luogo nativo; e parmi ch’ ell’ abbia cagioni di amare il suo Recanati. L’Alfieri, da lei giustamente ammirato, veda che si pregiava di Asti: né il Piemonte vale più del Piceno; né Recanati meno di Asti.»1 Al che Giacomo di rimando: «È un bel dire, Plutarco, l’Alfieri amavano Cheronea ed Asti. Le amavano e non vi stavano. A questo modo amerò ancor io la mia patria quando ne sarò lontano; ora dico di odiarla perché vi sono dentro.»2



So c’era fra i lettorati del tempo uomo che potesse comprendere e amare il Leopardi, era questi Pietro Giordani, il quale aveva avuto, come Giacomo, una giovinezza infelice, e in molto altre circostanze della vita lo somigliava. Anche lui, d’ingegno straordinariamonte precoce, aveva imparato in fanciullezza il lutino ed il greco; anche lui appassionatissimo degli studi; anche lui di complessione gracile e di salute fino ai venti anni debolissima; anche lui sensibilissimo e bisognoso d’aflotto; anche lui in-

  1. Epistolario, vol. III, pag. 88.
  2. Idem, vol. I, pag. 59.