Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/286

Da Wikisource.

250 CAPITOLO XIII. da Recanati, il Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco; che è, secondo me, il coronamento delle Operette morali; ed è una delle prose migliori del li- bro, nel suo genere perfetta. Ricorrendo ad un artifizio che gli era caro, l' au- tore finge di aver tradotta dal greco questa breve scrittura, che tratta della origine e della fine del mondo, e che egli attribuisce in parte a Stratone filo- sofo peripatetico vissuto trecento anni avanti l' èra cristiana, in parte a un dotto greco del secolo pas- sato, che, avendo trovato in un codice il frammento stratoniano, vi aggiunse in fine, suppone il Leopardi, qualche cosa di suo; ciò a spiegare perchè, mentre le idee intorno all'origine del mondo concordano a un dipresso con quel poco che delle opinioni di Stratone abbiamo negli scrittori, le idee sulla fine del mondo sono fondate sopra dottrine assai più moderne. Nelle Operette morali il Leopardi nega implicita- mente, se non esplicitamente, che la vita dell'uomo e dell'universo sia governata dalla provvida sapienza di un ente supremo e sostituisce ad essa la natura, cioè una forza cieca che opera fatalmente, producendo, con perfetta indifferenza ed inscienza, quello che gli uomini chiamano rispetto a loro bene e male; più spesso il male che il bene. Col Frammento apocrifo di Stratone egli fa apertamente l' ultimo e più ar- dito passo verso le dottrine dei materialisti: am- mette l'eternità della materia, e di una forza arcana insita in lei, la quale dà moto e vita all' universo, e produce e trasmuta perennemente le forme della ma- teria. 1 mondi e lo cose tutte che in essi esistono, animate ed inanimate, non sono altro che forme della materia; perciò nascono, crescono, scemano e in fino periscono. La materia, che non ha avuto principio, che d sempro esistita, non cresce nò scema; nò si perde di lei la menoma particella. Ai mondi e alle cose, che periscono e periranno, succedono e succe-