Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/301

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SEMPRE A BOLOGNA. 265 primavera, come i medici gli promettevano ; e perciò non rinunciava all'idea della cattedra ofiFertagli; anzi appena potesse sarebbe andato a Roma per conferirne con lui. L'inverno fortunatamente stava per passare; ed egli pochi giorni dopo (l'S febbraio) scriveva al padre che il freddo era già scemato, anzi si erano avute al- cune giornate di primavera ; che aveva ripreso le sue passeggiate campestri, e gli pareva d'essere rinato. Non era vero che nell'inverno non avesse fatto nulla. Oltre la revisione dei fogli del Cicerone, che lo Stella gli mandava regolarmente, perchè vi facesse le sue osservazioni, aveva compiuto la traduzione del- l' J'.^^V^e^o, della quale era assai sodisfatto, e messo in pronto la materia di due volumetti del Petrarca. Ma coU'avvicinarsi della primavera, sentendosi rinvigorire il corpo e lo spirito, andava ripigliando gli uffici della vita, andava ripigliando più gagliardamente il lavoro. Ed era anche tornato alla poesia. Dopo la canzone Alla sua donna non gli era più uscito un verso dalla testa, tutta piena della materia e della forma delle Operette inorali. Nei due anni 1824 e 1825 la sua mente, disavvezza dalla poesia, aveva preso l'abito del ragionamento; e di questo abito si sentono gli effetti anche nei nuovi versi che la nuova primavera gli suscitò. Non c'è più, come nelle Canzoni^ l'intonazione solenne del poeta che, con l'ardenza elo- quente dei suoi pensieri e de' suoi periodi, vuol tra- scinare il lettore ; e' è il pacato e tranquillo argomen- tare del filosofo che vuol persuadere. Perciò l'autore indirizzò i suoi versi al conte Carlo Pepoli, in forma di Epistola. Sono versi sciolti, di fattura semplice ed elegante, signorile anche, ma piani e discorsivi, illu- minati appena in due luoghi da un lampo fugace di poesia ; là dove il poeta nomina la bellezza femminile e la primavera, le due cose che ebbero sempre virtù di far palpitare il suo cuore.