Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/35

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i genitori. 7

rendeva intollerabile quel tormento e la privazione del sonno, e volle onninamente tornare in città, finchè si ripulisse affatto la casa. Io fremevo, e non sapevo persuadermi che si avessero a temere le pulci più dei francesi. Dovetti cedere e condurla a casa, finchè, purgato affatto l’asilo nostre da quelli animali terribili, vi ritornammo tranquillamente. »

La mattina del 25 giugno i francesi, in numero di cinque o seicento, rientrarono in Recanati: i briganti erano fuggiti tutti, e insieme con essi la maggior parte dei cittadini. Il comandante appena arrivato al Municipio scrisse un decreto di morte contro Monaldo e comandò che la sua casa e due altre venissero smantellate e incendiate. II decreto, per la intromissione di un commissario francese, Lantelme, che conosceva il conte e avea ricevuto da lui qualche piacere, fu revocato; e la famiglia Leopardi potè senza rischio tornare in città e nel suo palazzo; mala trepidazioni e le paure non erano finite. Appena arrivati e messisi a tavola per pigliare un po’ di ristoro, un biglietto del cognato Antici avverte Monaldo di recarsi subito da lui. Va e sente che si trattava di nuovo, per un equivoco, d’incendiare la sua casa. Anche questo pericolo fu scongiurato, ed eccoti subito dietro una imposizione di guerra, nella quale il conte era tassato per mille scudi. Parendogli averne avute assai per quel giorno, disse fra se: ci penseremo domani. Ma intanto viene una pattuglia ad arrestarlo, con grande spavento della famiglia. Tanto lui che gli altri, ai quali era stata imposta la contribuzione, tentavano schermirsi dal pagarla; e appunto da ciò gli arresti. Bisognò almeno in parte pagare. Non per questo cessarono le paure. Monaldo si ritirò per quattro o cinque giorni a Loreto in compagnia della moglie, a cercarvi un po’ di riposo: tornato, corse pericolo di essere prese con altri, e mandato in Ancona per ostaggio ai francesi.