Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/355

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A PISA E A FUiENZK. :^10 figlia, le due amiche nel cui seno deponeva oramai più volentieri le sue confidenze dolorose: < Mia cara Antonietta, mia cara Adelaide, Della mia salute ec- covi brevemente. Tutti ì miei organi, dicono i medici, son sani; ma nessuno può essere adoperato senza gran pena, a causa di un'estrema, inaudita sfHj>i7yi7//« elio da due anni ostinatissimamente cresce ogni giorno; quasi ogni azione e ogni sensazione mi dà dolore.... Son venuto qua (dove ho pur quantità d'amici) per ragioni che sarebbe lungo a dire; starò tinche dure- ranno i miei pochi denari; poi l'orrenda notte di Re- canati mi aspetta. Non posso più scrivere. Vi saluto tenerissimamente tutti. >' Questo era pur troppo lo stato tisico e morale del- l' infelice poeta, stato veramente terribile. Non poteva più lavorare; vedeva quindi cessargli a breve scadenza l'assegno dello Stella, e cessargli insieme la possibi- lità di mantenersi fuori di casa. Desiderava di rive- dere i suoi ; ma non poteva muoversi per il caldo, e l'idea che, tornato in famiglia, non avrebbe avuto più modo di uscire di Recanati lo spaventava. Di qui una irritazione, che non sempre riusciva a dominare. Pochi giorni dopo, riscrivendo alla Maestri, che lo invitava a Parma, e dolendosi con lei di essere costretto alla immobilità, si lasciò sfuggire queste parole: < Mi viene una gran voglia di terminare una volta tanti malanni, e di rendermi immobile un poco più perfettamente; perchè in verità la stizza mi monta di quando in quando: ma non temete, che in somma avrò pazienza sino alla fine di questa maledetta vita. >■ La Maestri e la Tommasini si impaurirono di que- ste parole. Esse conoscevano troppo bene lo stato in- felicissimo del Leopardi, e doveva parer loro tutt'altro che impossibile ch'egli in un momento di disperazione pensasse a por fine ai suoi giorni. La Tommasini scrisse Epiafolario, voi. II. pag. ;Ì04. * Idem, pag. 305.