Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/380

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344 CAPITOLO XVII. Gli era accaduto di leggere nella relazione di un viaggiatore dell'Asia che alcuni pastori di quelle na- zioni erranti passano la notte seduti sopra una pietra a guardare la luna e improvvisare parole assai tristi sopra arie non meno tristi. Da questo motivo trasse occasione al Canto. Messosi nei panni del pastore, il poeta parla alla luna un linguaggio semplice e piano, e nella sua in- genuità suggestivo : dentro il poeta e' è il filosofo, che non ha sempre la virtù di tenersi nascosto abba- stanza. Il Canto si compone di sei strofe libere, con qual- che rima al mezzo, terminanti tutte con la rima in ale, che sapientemente prepara la conchiusione. In una breve poesia di Enrico Heine, intitolata Fragcn, un giovane, seduto sulla riva del mare, chiede alle onde la spiegazione dell' antico e tormentoso mistero della vita; e fatta la domanda, sta lì ad aspettare la risposta, che naturalmente non viene. Il pastore del Leopardi comincia domandando quella spiegazione alla luna, e risponde egli stesso alla sua domanda, dicendo che la vita umana è una vicenda continua di dolori e di affanni, la quale non ha altro fine che la morte, cioò il nulla. Questa risposta, che non risolve l'enigma, non può appagare il pastore; il quale seguita con ansia crescente le sue interro- gazioni. Che cosa fanno lo stelle in cielo? Cho fa l'arin infmitft, o quel profondo Infinito seren? cho vuol dir questa Solitudine immensa? ed io che sono? A questo incalzanti domando il povero pastore ò costretto a risponderò elio egli non sa niente; cioò, sa una cosa sola: Questo io conosco e sento, Che degli eterni giri,