Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/485

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GLI ULTIMI SCRITTI E LA MORTE. 44* scriveva al padre il 9 marzo 1837, le condizioni di salute del poeta, al suo ritorno in città, erano tali da giustificare anche la paura di una catastrofe immi- nente. < Io, grazie a Dio, scriveva il poeta, sono salvo dal cholera, ma a gran costo. Dopo aver passato in campagna più mesi tra incredibili agonie, correndo ciascun giorno sei pericoli di vita ben contati, immi- nenti e realizzabili d'ora in ora; e dopo aver soflerto un freddo tale, che mai nessun altro inverno, se non quello di Bologna, io aveva provato il simile ; la mia povera macchina, con dieci anni di più che a Bo- logna, non potè resistere, e fino dal principio di di- cembre, quando la peste cominciava a declinare, il ginocchio con la gamba diritta mi diventò grosso il doppio dell'altro, facendosi di un colore spavente- vole. > Aggiunge nella lettera che non potè consul- tare medici per la gravità della spesa ; che alla metà di febbraio ammalò di un attacco di petto con febbre; che, passata la febbre e tornato in città, si rimise in letto come convalescente, quale era ancora men- tre scriveva; che finalmente il ginocchio e la gamba erano disenfiate, in modo che se ne trovava come guarito. Nonostante le condizioni di salute aggravatesi, il poeta andava sempre pensando alla edizione delle sue opere. Fin da quando l'edizione dello Starita era stata sospesa con la proibizione del secondo volume, egli aveva scritto il 22 dicembre 1836 al De Sinner a Parigi per chiedergli se credeva che mandando là un esem- plare delle sue o poesie o prose con molte correzioni ed aggiunte inedite, ovvero un libro del tutto inedito, si troverebbe un libraio {come Baudry o altri) che senza alcun compenso pecuniario all'autore, ne desse un'edi- zione a suo conto. < Io credo di no, soggiungeva; e quella pazza bestia di Tommaseo, che, disprezzato in Italia, si fa tenere un grand' uomo a Parigi, e che è