Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/180

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capitolo terzo 173

Insieme coll’Orioli collaboravano alla Bilancia l’avv. Andrea Cattabeni di Senigallia, amico ed agente d’affari di casa Mastai, e l’avv. Paolo Mazio, romano. Il giornale fu autoritario e non incontrò molto le simpatie del pubblico pel tono cattedratico che assunse.

Il 5 maggio era festa di san Pio V, onde i liberali ne trassero motivo di una nuova dimostrazione in onore di Pio IX, accorrendo a migliaia nella chiesa di santa Maria degli Angeli

    tutte le dottrine, insomma, che formano oggi i principii fondamentali del nuovo diritto pubblico nel mondo civile. Il libretto ebbe - manco male! l’imprimatur del P. Buttaoni e le congratulazioni dei reazionari.

    Sarebbe un curioso studio lo istituire in parallelo fra le cose scritte dell’Orioli nella Bilancia e quelle dette nei suoi discorsi del 1847 e del 1848 e le altre contenute ed espresse in questi due opuscoli.

    Ad ogni modo dell’Orioli diede giudizio severo, ma giusto, con manifestazione di carattere libero ed energico, in tempi di governo assoluto, un valoroso patrizio romano, che qui mi piace di ricordare a meritato titolo di onore, Don Giovanni Torlonia, quando, incaricato dall’Accademia romana di archeologia di cui egli pure era socio ordinario, di parlare dell’estinto collega Orioli nella prima adunanza del novembre 1857, faceva precedere alla pubblicazione del suo Discorso critico intorno alla vita di Francesco Orioli, un’avvertenza, nella quale il giovane e coraggioso scrittore diceva così:

    «Gli ammiratori ad oltranza dell’illustre prof. Orioli giudicheranno questo discorso troppo severo; altri a lui nemici lo stimeranno troppo poco libero e ardito. Risponderò a questi che, sebbene il mio ragionamento non fosse politico e fosse anzi pronunciato in una radunanza dove era condannabile il parlar di cose politiche, pure son certissimo che chi attentamente legga vi troverà libertà d’animo non vile e franchezza di non dissimulati pensieri. Risponderò poi a quei primi, che può certo parere ardito che io, giovane e di niuna fama, mi levi a giudice di un uomo vecchio ed illustre, a cui mi lega tanta reverenza e gratitudine. Ma da che la fiducia dei miei egregi colleghi mi aveva chiamato a parlar loro pubblicamente dell’Orioli, io doveva assumere l’ufficio, e caricandomi dei doveri di uuo storico imparziale. In tutte le ultime vicende italiane l’Orioli volle essere e fu veramente uomo pubblico e pubblici furono i suoi fatti, quindi severamente sottoposti al giudizio della storia; e il tacerne sarebbe stata viltà. Né, cred’io, la vastità dello ingegno e della dottrina valgono a scusare la incostanza nei principii politici; e tra l’urto delle popolari passioni e degli avversi partiti, la fermezza del pensiero è più che mai necessaria, segnatamente in quelli cui la fama del sapere, l’antica esperienza e la facilità della parola danno qualche potenza sugli altri, ed ai quali il popolo è solito rivolgersi come a consiglieri e maestri nelle più difficili vicende della patria. Ohe se dopo questa mia parola gli amici e i nemici del mio chiarissimo collega non saran paghi, io facilmente me ne consolerò colla sicura coscienza di aver detto la verità con giovanile franchezza, senza pregiudizio di parte, senza adulazioni e senza ira. (Archivio Storico Italiano, nuova serie, Firenze, presso E. P. Viesseux editore, 1858, tomo VII, parte IL Cfr. con F. Gigliucci, Memorie della rivoluzione romana, citate, vol. II, lib. V, pag. 176, in nota).