Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/26

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capitolo primo 19

Da allora nuova intervenzione austriaca nelle Ronagne e intervenzione francese in Ancona. Dal governo del cardinale Bernetti Gregorio XVI passò a quello del barnabita cardinale Lambruschini: dalla padella sulla brago; dall’arruolaraento dei reggimenti svizzeri e dalla istituzione dell’esecrabile ed esecrato corpo dei Centurioni1, sanfedisti reclutati fra la più

    molti luoghi: a Cesena giusta giornata; e l’Austria ne prende motivo di invadere nuovamente il paese», ecc., ecc.
          La prima menzogna storica ribadisce, con loiolesche insinuazioni cercando dimostrare non accertate le stragi e le rapine di Cesena e di Forlì l’illustre scrittore nell’opera: L’Indipendenza italiana; cronistoria di Cesare Cantù (Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1873) dove (vol. II, capitolo XXX, pagg. 278-279) i fatti son narrati cosi: «Nelle legazioni fu ripristinata la guardia civica; con promessa che truppe non v’entrerebbero. Intanto bisognava gravar le imposte per le straordinarie spese, saldare Svizzeri per la sicurezza, sorvegliare non solo i rivoltosi, ma anche i moderati che domandavano riforme; anzi di questi prendeasi maggior paura, come quelli contro di cui non poteasi nè applicare i castighi, nè invocare gli Austriaci. Cosi almeno pareva a chi guardava dal di fuori, e con le simpatie che propendono sempre verso gli oppositori; ma forse il Governo conosceva meglio la vera situazione; giacché in fatto il paese non tardò a ribollire; la guardia urbana si fece deliberatrice; si stesero petizioni con le quali mandossi una deputazione a Roma chiedendo le franchigie, alle quali asserivasi maturo il paese. Non vi si diè retta; anzi si sciolse la guardia urbana; sostituendovi reggimenti svizzeri e corpi di volontari, cerniti nel modo che si sogliono quelle bande sotto qualsiasi Governo. Allora la resistenza diviene aperta, e a Cesena e a Forlì si trascorre al sangue; si ripiglia la coccarda nazionale: si prendono le armi, si resiste ai soldati, che rimasti superiori, commettono le atrocità che sempre i vinti imputano ai vincitori, anche quando non sono così accertate come sventuratamente qui».
          Quanto loiolescamente e pietosamente bugiardo sia il velo che l’illustro Cantù cerca di gettare su quelle vergogne e sceleraggini di Santa Chiesa non è chi non veda, sol che si ripensi alla concordia di oltre sessanta storici, fra cui molti non italiani e molti uomini insigni per ingegno e per carattere si italiani che stranieri, e sol che si voglia leggere il racconto di un valoroso soldato e degnissimo gentiluomo quale il marchese colonnello Caucci-Molara.
          Quanto alle tre narrazioni osserverò soltanto che in tutte tre l’illustro storico lombardo commise un grosso strafalcione ponendo l’arruolamento degli Svizzeri e dei Centurioni (avvenuto dal luglio al settembre 1832) come precedente alle stragi di Cesena e di Forlì (avvenute nel gennaio 1832); ne commise dei più piccoli che, per brevità, ometto di rilevare.

  1. F. A. Gualterio, Gli ultimi rivolgimenti italiani, 3ª edizione, Napoli, Angelo Mirelli, 1861, vol. I, cap. X, pag. 94 e segg.; e fra i documenti uniti il 115, il 116 e il 117; Filippo Perfetti, Ricordi di Roma, Firenze, G. Barbèra, editore 1861, pag. 39 e segg.; Luigi Anelli, Storia d’Italia dal 1814 al 1863.^, Milano, dott. Fr. Vallardi, 1864, vol. I, cap. VII, pag. 240 a 242; Carlo Belviglieri, Storia d’Italia dal 1804 al 1866, Milano, Corona e Calmi editori, 1876, vol. II, lib. IX, pag. 114 e 115; Giuseppe La Farina, Storia d’Italia dal 1815 al 1850, Torino, Società editrice italiana, 1860, vol. I, lib. II, cap. XIV, pag. 443 e segg.; Enrico Poggi, Storia d’Italia dal 1814 all’8 agosto 1846, Firenze, G. Barbèra, 1883, vol. I, lib. III, cap. II; Garnier-