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rici, secondo i nobili intendimenti e i generosi desideri dei singoli scrittori, anelanti, con le loro postume considerazioni, ad una perfezione che, spessissimo, non è dato agli uomini di raggiungere e importa invece, narrando quei fatti, cercarne e trovarne, nelle condizioni del tempo e dello spazio, le ragioni che, allora, in quel tempo e in quello spazio, legittimamente li determinarono. Questo - a mio modesto giudizio - è l’ufficio dello scrittore, che non una storia ideale, foggiata secondo i suoi preconcetti, i suoi pregiudizi e le sue convinzioni, ma la storia reale, tale quale efiettivamente si svolse, voglia narrare, e che le cause per cui quella storia ebbe quel dato svolgimento voglia imparzialmente e obiettivamente indagare.

Checchè ne sia, Ciceruacchio capitanò quella dimostrazione popolare; Ciceruacchio, che, realmente, adorava Pio IX e che detestava i gesuiti, i gregoriani, i reazionari, gli amici insonìraa dello vecchie istituzioni e dei tempi andati; Ciceruacchio, il quale il più ingenuo fra tutti quei liberali, fra tutti quei rivoluzionari, se cosi si vogliono chiamare i più ardenti patrioti di quei giorni, il più ingenuo, perchè il meno istruito, il più primitivo, quegli che era più di tutti in buona fede - credeva più di tutti gli altri, che Pio IX fosse liberale come lo era lui, che fosse patriota alla maniera sua e quindi, meno degli altri, poteva vedere la contraddizione che giganteggiava in quel personaggio, costretto ad essere, contemporaneamente. Pontefice e principe, sacerdote e cittadino, cattolico e italiano. Onde Ciceruacchio più degli altri si illudeva sulle vere intenzioni del Papa e non poteva supporre, non supponeva menomamente che gli applausi per la vittoria dei liberali svizzeri e le grida di abbasso i gesuiti, potessero e dovessero dispiacere a Pio IX; anzi, in buona fede, credeva che, pur non dandone manifesto segno, il Papa, nell’intimo suo, approvasse quegli evviva e quegli abbasso.

Ad ogni modo il fatto è che la dimostrazione popolare ci fu il 3 di dicembre e che Ciceruacchio ne fu l’ordinatore e il capo1: e chi vuol dargliene biasimo gliel dia; io, per conto mio, non gliene fo nè colpa, nè merito; anzi, considerata la sua buona fede, il suo entusiasmo, la sua ignoranza e la rettitudine e la

  1. C. Tivaroni, op. cit., tom. II, parte VII, cap. V, § 3°. Cf. con E. Lubienscki, op. cit., chap. IV, pag. 81.