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allora, dopo la pubblicazione dell’amnistia, gli fu concesso di andare a Senigallia ove, nel duomo, con parola accesa e inspirata, celebrò le virtù di Pio IX e lo salutò redentore dell’oppresai Italia.

Venuto a Roma fu ricevuto dal nuovo Papa con segni di benevolenza; ma la predica da lui fatta nella chiesa di san Cario dei Lombardi per i morti di Milano, gli alienò l’animo di PioIX, il quale, sobillato dai gesuiti e specialmente dai due grandi loro protettori i cardinali Lambruschini e Patrizi, lo relegò nel convento di san Bonaventura al Palatino. Donde fu inviato in quello dei Cappuccini di Genzano. Per le preghiere di molti liberali e per le sollecitazioni di una Commissione di nobili, presieduta dal duca Michelangelo Caetani, ne fu ordinata la liberazione; cosi il padre Alessandro Gavazzi potè tornare in Roma e vi capitò proprio il giorno innanzi a quello in cui vi pervenne la lieta novella della vittoria del popolo milanese, dopo i gloriosi combattimenti delle cinque giornate. Ed eccolo al Colosseo, a infervorare, con la eloquente parola, la gioventù romana ad inscriversi nei ruoli dei volontari disposti a partire per la guerra di Lombardia.

Il Balleydier, che riferisce, più diffusamente degli altri storici, questo episodio, ha un po’ l’aria di schernire quei patrioti accesi dal più naturale, dal più logico e dal più santo degli entusiasmi e si affatica a designare il padre Gavazzi come un nuovo, ma ridicolo Pietro l’Eremita, banditore, come quegli lo fu della crociata contro i Maomettani, occupatori della Terra Santa di Palestina, di una nuova crociata italica contro lo straniero invasore. E, non ostante le derisioni dello storico-romanziere papalino, in quel momento, fra le ruine del Colosseo, dinanzi a migliaia e migliaia di cittadini commossi, entusiasti dinanzi all’aurora della liberazione del patrio suolo dal dominio straniero, il raffronto aveva tutti i caratteri della serietà e, in quel momento, quel frate onesto, austero, nobile, generoso ricordava l’Eremita predicante la crociata nelle pianure di Clermont1.


  1. Ciò anche pensa ed afferma il Costa de Beauregard nel suo pregevole volume Epilogue d’un règne, già citato, cap. VII, pag. 175 e seg.