Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/347

Da Wikisource.
340 ciceruacchio e don pirlone

cora deciso a coadiuvare efficacemente l’opera santa della nazionale indipendenza.

Quanto poi a quella tendenza ai festeggiamenti entusiastici — che io dissi una delle caratteristiche di quell’ambiente e di quel tempo — tendenza, cosi frequentemente e tanto severamente rimproverata ai nostri padri dagli storici subbiettivi, dagli scrittori dottrinari, cosi sapienti della sapienza del poi — era essa pure una legittima conseguenza delle premesse: era un effetto logico di quel tanto atteno, tanto invocato risveglio della coscienza nazionale; risveglio che, quantunque atteso, preparato, sperato, invocato, era avvenuto, innanzi agli occhi dei volghi, in modo cosi inopinato e prodigioso e aveva assunto proporzioni cosi ampie e imprevedute da superare le più lusinghiere aspettazioni e le più immoderate speranze. Quella tendenza festaiuola era, quindi, una naturale conseguenza delle premesse storiche; era la pazza gioia, scusabile, spiegabile, giustificabile in una frotta di giovanotti dinanzi a una splendidissima giornata primaverile, radiosa di sole e luccicante di azzurro, apparsa dopo un mese di tempo nero, uggioso, piovoso; era un inno giulivo, era una sfrenata allegria della giovinezza spensierata, la quale, piena di fede, ridondante di sentimento, ricca di roseo speranze, priva di esperienza, di senno, di riflessione, si abbandona, cieca e inconsiderata, ai gaudii del presente, non curante dei disinganni del domani e delle crude realtà dell’avvenire1.

E mi sono soffermato in questa digressione perché stimo indispensabile, a voler giudicare rettamente e onestamente di quei tempi, di quei casi e di quegli uomini, tenore sempre presente questa condiziono degli animi e dei pensieri dei padri nostri, senza la considerazione della quale molte cose non spiegheremmo, male spiegheremmo in riguardo alle vere cagioni che lo produssero.

Frattanto i volontari romani, incamminati verso i confini dello Stato, accolti con grandi feste a Civita Castellana, a Terni,

  1. «Nè vuolsi condannare l’universale, se passò il segno negli applausi; trattandosi di un fatto cosi inaudito e insperato come l’avvenimento di un papa liberatore». Così, sagacemente, il Gioberti nel Rinnovamento, vol. I, cap. XIII.