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ciò che afferma il Pianciani1, non fu intesa nel suo significato e nel suo vero valore, neppure da coloro che sufficientemente intendevano il latino: per cui, per tutta la giornata del 29, non si levarono rumori e, tranne la perturbazione che la parola del Papa produsse, in poche ore, nell’animo dei Ministri, l’Allocuzione non diè luogo a commenti e recriminazioni che nella sera dal 29 al 30 aprile. La sera del 29, intanto che nei Circoli romano e popolare si andava traducendo e commentando l’Allocuzione papale e cominciavano a comprendersene gli arcani sensi, nascosti nell’avviluppato - l’epiteto è del Pasolini - latino in cui era scritta e intanto che incominciava, perciò, a manifestarsi il malcontento, il Ministero Antonelli-Recchi, rassegnava le sue dimissioni al Pontefice2, il quale, ma perchè? ma che cosa c’è - andava ripetendo meravigliato ed afflitto - e si sforzava di attenuare il significato dell’Allocuzione: perchè forse la oscurità della frase latina (che pareva essere stata adoperata a bello studio dalla segreteria) aveva tratto lui stesso a ciò che non avrebbe voluto3.

Frattanto, la mattina del 30 aprile, si cominciavano a formare per la città gruppi e capannelli: si parlava dell’Allocuzione, se ne commentava il contenuto con grande vivacità; giacchè, oltre alla preoccupazione generale che la parola pontificia produceva in riguardo alla guerra nazionale, una preoccupazione, più particolare a parecchie migliaia di cittadini, i quali avevano i figli e i fratelli fra i combattenti che avevano varcato il Po, si impadroniva degli animi e li concitava e li esagitava e tale preoccupazione era questa: quale sarà la condizione e quale il

  1. L. Pianciani, op. cit., tome II, chap. XXII, pag. 415.
  2. Farini, Pasolini, Minghetti, Galletti - tutti quattro facenti parte di quel Ministero - e La Farina, Grandoni, Pinto, Rusconi e Spada testimoni oculari. Poi lunga schiera di scrittori intorno a quell’epoca e a quei fatti, e i giornali del tempo.
  3. P. D. Pasolini, op. cit, cap. VI, § 3°; M. Minghetti, op. cit, vol. I, cap. V, pag. 377 e 378. Le parole del conte Pasolini, che io ho riferite e che, probabilmente, colgono nel segno della verità, sono gravi, perchè da esse risulterebbe che Pio IX - cosi notoriamente fiacco in fatto di cognizioni e di studi (Vedi V. Gioberti, Rinnovamento, vol. I, cap. XIII, ove è detto: Giovanni Mastai non ebbe agio e tempo di vacare agli studii; cosicchè eziandio nelle materie sacre egli è costretto a ricorrere al giudizio degli altri, che facilmente ne abusano) - non avesse bene compreso il senso del latino, che gli avevan dato a leggere e che egli aveva letto in Concistoro.