Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/40

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capitolo primo 33

scia del Niccolini alla Vestale dello Sterbini e alla Guisemberga da Spoleto del Checchetelli; dal Veltro allegorico di Dante del Troya ai Fattori dell’incivilimento del Romagnosi; dalla Teoria delle leggi di sicurezza sociale del Carmignani alla Guida dell’educatore del Lambruschini; dalla Teorica del sovrannaturale e dal Primato morale e civile degl’Italiani del Gioberti all’Amor patrio di Dante e al Dramma storico del Mazzini: dalle Speranze d’Italia del Balbo alla Nazionalità italiana del Durando; dai versi mistici e fatidici di Gabriele Rossetti a quelli molli e musicali di Agostino Cagnoli; dal Rinnovamento della filosofia italiana di Terenzio Mamiani al Giannetto di Alessandro Parravicini; dalla leggiadra e fustigatrice satira di Giuseppe Giusti ai flagellatorii sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli, ogni manifestazione dell’ingegno italiano porta l’impronta - consapevoli o inconsapevoli che ne fossero gli autori - di quella patriottica preoccupazione, di quelle liberali aspirazioni. Non ve ne è una nella quale, o per diritto o per rovescio, non entri o l’Italia, la patria, o le innovazioni, o le riforme, o il progresso, o l’antica sapienza, o l’antica civiltà, o l’antica grandezza dei Latini e degli Italici, non ve ne ha una in cui direttamente o indirettamente non si alluda al risveglio, al riscatto, o alla resurrezione, o alla redenzione, o al risorgimento, o al rinnovamento della nazione1.

Ecco come e perchè quella specie di unanimità di sentimenti, di aspirazioni, di speranze e di desiderii si era costituita, ecco perchè verso la metà del 1846, tutti gl’Italiani sentivano che qualche gran fatto stava per accadere: in mezzo alle più fitte tenebre si intuiva, più che non si intravedesse, l’aurora, ma donde verrebbe la luce? Ma in qual modo? Ma per opera di chi? Ecco ciò che nessuno, forse, avrebbe saputo dire al 1º maggio di quell’anno; e ciò, sopratutto, perchè, se concordia v’era nel fine, discordia v’era nei mezzi; molteplici, diversi, e sovente opposti essendo i metodi, che, già da molto tempo, si vagheggiavano, si studiavano e si proponevano a raggiungere quell’unico fine.


  1. Cf. Garnier-Pagés, op. cit., tom. I, liv. I, chap. Ier, § 7, pag. 15 e seg.; G. Ricciardi, op. cit, cap. I, pag. 3 e seg.; G. G. Gervinus, op. cit., vol. V, part. III, § 4, pag. 144 e seg.