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Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/439

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432 ciceruacchio e don pirlone

Fu notato da molti che al fianco di Sua Santità era il seguente bouquet di cardinali, Mattei, Patrizi, Asquini, Ferretti, i quali dimoravano ancora nel palazzo apostolico dopo le tre gloriose giornate delle ciarle1.

A porre in rilievo poi quale credito ed autorità avesse acquistato a quei giorni Ciceruacchio, riferirò qui un fatto curioso e caratteristico. La mattina del 3 maggio un domestico dell’Ambasciata napoletana a Roma invitò l’onesto popolano a recarsi presso il Ministro dei re di Napoli, conte Ludolf e questi partecipò, con belle parole, ad Angelo Brunetti che S. M. il Re gli aveva conferito la medaglia d’oro dell’ordine civile di Francesco I, per gratitudine delle buone accoglienze fatte da esso ai delegati napoletani alla Dieta italiana, durante la loro residenza in Roma: e gli significò che la medaglia e il decreto che gliela conferiva sarebbero a lui recati da Michele Viscuso, un fiero e autorevole popolano liberale di Napoli, il quale quanto prima verrebbe a Roma.

Angelo Brunetti rifiutò tanto onore con uno stile tutto spartano. Egli è del popolo e vuole rimanere nel Popolo, e di ordini e di medaglie e di ciondoli non vuole intenderne: questi sono suonagli (sic) da appendersi al collo di quei tali, cui la società ha diritto di riconoscere per quelli che sono2.

Lasciando stare lo stile spartano che potrà avere usato Ciceruacchio e che, probabilmente, sarà stato invece spicciativo stile romanesco, restano sempre veri tre fatti: la bassezza del Borbone, il quale con simulazione tiberiana, adulava il capopopolo napoletano Michele Viscuso e il capo-popolo romano Angelo Brunetti, che egli, callido e infinto, disprezzava ed odiava, come odiava la libertà e disprezzava in cuor suo tutti i popolari sommovitori d’Italia a quei giorni; la importanza ognora crescente che aveva acquistata Ciceruacchio, anche fuori di Roma; e la modestia sempre grandissima e sempre uguale che quest’uomo, dal cuore nobile e generosissimo, aveva serbata e serbava, in mezzo ai fumi di quella popolarità e di quei trionfi, onde un cervello meno equilibrato e un animo

  1. Pallade del 10 maggio, n. 240.
  2. Pallade del 5 maggio n. 236. Cf. con la Pallade del 3 maggio, n. 234.