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50 ciceruacchio e don pirlone

il cardinal Mastai era scarso di studi, povero di idee, e, in queste condizioni dell’ingegno e dello spirito, egli mancava assolutamente di fermezza di principi, di serietà e profondità di convincimenti, e in lui non era quindi - e non poteva essere - saldezza di carattere. Bello della persona, dal volto aperto e simpatico, signorile nei modi, facondo parlatore, dalla voce sonora, armoniosa e insinuante, il nuovo Pontefice di questi suoi pregi reali, e di quelli immaginati e attribuitigli dalla adulazione allettatrice, femminilmente invaniva, e alle lusinghevoli carezze della lingua cortigianesca sempre aperto e pronto avea l’orecchio. E, come in tutti gl’intelletti mediocri e in tutti i caratteri deboli suole avvenire, il nuovo Pontefice più assai che di sentimento religioso, di pregiudizi paurosi e di superstizioni infantili aveva l’animo ingombro: onde sul suo cuore due modi vi avea di far presa: col solleticarne la vanità e con l’eccitarvi lo scrupolo. Nella prima sua giovinezza, per le impressioni guerresche ricevute dal 1792 al 1815, vagheggiò l’idea di ascriversi al corpo delle guardie nobili, e mentre si dava bel tempo in Roma, frequentando le signorili conversazioni, corteggiava le belle dame, e si palesò pronto a far sua sposa la figlia di un dabbene curiale, Teodora Valle, con la quale mantenne poi sempre amichevole relazione, anche dopo che essa fu divenuta la signora Gabet1.

Ma il giovine conte Mastai era affetto di un male epilettico del quale migliorò assai col trascorrer degli anni - onde non potè essere ascritto al corpo delle guardie nobili, e lo spirito debole di lui, abbattuto dal subitaneo crollo che quella esclusione portava alle sue mondane illusioni, con impeto irreflessivo si dette alla Chiesa. L’abate Mastai fu ordinato prete nel 1819, indi fu preposto all’istituto di Tata Giovanni, poi fu mandato nel 1823 al Chili a latere di monsignor Muzzi, delegato alle missioni apostoliche.

Tornato dal Chili, riprese la direzione dell’ospizio di Tata Giovanni, indi dal cardinale Annibale Della Genga, suo protettore, divenuto poi Leone XII, fu trasferito a sopraintendere al più ampio istituto di San Michele a Ripa, e, poco stante,

  1. D. Silvagni, op. cit, vol. III, cap. XIV, pag. 541 e seg.