Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Compendio de le istorie del Regno di Napoli, 1929 – BEIC 1787614.djvu/158

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Corrado intendendo per questi versi li napolitani esser stracchi e che un mangano, ovvero briccola, che tirava sassi ne la terra faceva gran danni et era molto tedioso a li cittadini, e appresso che essendoli ben serrata la via del mare si renderiano, perseverò otto mesi ne l’assedio e finalmente l’ebbe per accordo ne l’anno 1253 salve le persone e li edifici; nondimeno come fu entrato ne la terra, fece ruinare le mura e le fortezze di Napoli e molte nobili case di gentiluomini. Gran quantitá di cittadini e nobili uomini mandò in esilio, e tra li altri Riccardo Filangeri con tutta la sua casata, e tutta la casata de’ Grifoni e Guglielmo di Palma perché erano stati principali e capi de la defensione de la terra contra di lui. Andò poi a la chiesa maggiore e in mezzo del campo di essa era un cavallo di bronzo senza briglia, statua antica riservata li in quel loco per ornamento e forse per insegna de la terra; Corrado li fece mettere un morso in bocca e sopra le redine questi due versi fece scolpire: Hactenus effrenis, domini nunc paret habenis.

Rex domai hunc aequus Parthenopensis equum. Restringendoli in versi vulgari al meglio che si può. essendo posti in segno di dominio, cosi si possono interpretare: Cavai giá senza freno, or paziente: Domato dal re giusto, et obediente.

Avuto adunque Napoli in questo modo, Corrado fu re universale del regno senza alcuna contradizione, e la riformazione d’esso commise ad Enrico vecchio conte di Rivello, il governo di Napoli ad uno chiamato Brancaleone. Stando adunque in stato pacifico vólto a li piaceri, Enrico putto suo fratello, figliuolo de la regina Isabella, parti di Sicilia, al quale Federico l’aveva lasciata, per venire a fare reverenza al re. In sua compagnia era un capitano saracino chiamato Giovanni Moro, il quale come fu in San Felice castello di Basilicata,