Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Compendio de le istorie del Regno di Napoli, 1929 – BEIC 1787614.djvu/235

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pur con animo d’esser re, ché il regno loro glie lo dariano bene. Venuto adunque il conte Iacomo di Provenza e, secondo l’ordine dato, giunto per mare a Manfredonia in Puglia e di li a Foggia e Troia e Casaldalbero e Benevento, avendolo tutti li altri capitani e baroni, che li erano andati incontra, salutato come re, solo Sforza lo salutò come conte. Per la qual cosa di comune consenso de li altri fu deliberato che Sforza fusse fatto prigione; e introdotta da Giulio Cesare da Capua una grande altercazione di parole con il Sforza a la presenza del conte Iacomo, sotto specie di volerli a fin di pace spartire, Sforza fu menato in una camera e li fatto prigione in nome del re Iacomo. Poi tutta la sua compagnia, che in Benevento alloggiava, fu posta a sacco.

Giunto poi a Napoli il conte Iacomo e come re con molta festa ricevuto, ebbe subito per tradimento il Castel nuovo, e preso Pandolfello, li fece tagliar la testa. A Sforza fece dar de la corda e tormenti assai, e lo averia fatto morire, se non fusse che Micheletto mise insieme a Tricarico tutta la compagnia sforzesca e li fattosi forte, tutto il paese insino a Napoli scorrea; e Margarita sorella del Sforza e moglie di Michelino Ravignano, ottimo soldato, armata in persona con alcuni uomini d’arme del marito mise in prigione quattro gentiluomini napolitani mandati dal conte Iacomo con salvocondotto a Tricarico per trattare accordo con Micheletto, minacciando di farli impiccare, se Sforza suo fratello non li era restituito: tra li quali gentiluomini furono messer Antonello Polderigo di messer Matteo e il Rosso Gaetano. Il perché il conte Iacomo accordò Micheletto e Lorenzo e Margarita con promissione giurata che Sforza ne la persona non saria offeso: e cosi fu servato. Deponendo poi il conte Iacomo or questo or quello e dispregiando ognuno, tutte le sue cose e offici e dignitá del regno e di Napoli faceva amministrare per uomini francesi, e posta la regina da parte, non li lasciava maneggiare cosa alcuna e in alcune camere quasi relegata la teneva, non l’ammettendo molte volte né anche a li atti matrimoniali; e con repulse e villane parole da sé lontana la tenea. La corte, i