Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Operette morali, Poesie latine e volgari, 1929 – BEIC 1788337.djvu/169

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     e se ’l suo sangue noi nasconderemo?

Non è assai meglio che noi lo vendiamo
a questi ismaeliti che vedemo,
     e che ’l prezzo da lor noi ne pigliamo
(ché mercatanti son, che ’l compreranno)
e li dinar tra noi poi ci partiamo?
     L’è pur nostro fratello, senza inganno,
e nostra carne ancor; cosí in un tratto
lui liberiani da morte e noi d’affanno.
Levi.   Iuda, tu parli ben, ne arérn bon patto
di questo Ioseph, e sarem contenti:
ché questo è piú benigno e miglior atto.
Gad.   Il dir di Iuda, a chi Levi consenti,
a tutti no’ ancor piace. Ora n’andiamo
e a trarlo fora ormai non siam piú lenti.
     Ma scale ne bisogna e corde in mano.
Vien fòr, Ioseph, e ben t’acconcia e lega,
come pòi meglio: aiútati pian piano.
Ioseph.   Se pur di me qualche pietá vi piega,
dolcissimi fratelli, questa morte
piú non mi date: ché ’l mio cor vi prega.
     Io era giá condutto a cotal sorte,
di freddo, fame, doglia e di timore,
che non era sol’una, ma piú morte.
     lllDA. Di te farem quel che a noi fia migliore.
Via pur da noi, non ti vogliamo appresso!
tu muterai paese e ancor signore.
Gad.   Quel che ti valeran vedremo adesso
le lusinghe e carezze e le delizie,
che non serai patron pur di te stesso!
Simeone.   O madianiti, che tante divizie
d’oriente portate ne lo Egitto,
se care avete le nostre amicizie,
     vi prego che ascoltate il nostro ditto.
Abbiamo un servo qui tutto elegante,
giovine e bon da farne ogni profitto,