Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Operette morali, Poesie latine e volgari, 1929 – BEIC 1788337.djvu/229

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     prego, Signor, mi ascolti, io che sono

fumo, polvere, et ombra che son io,
benigno Signor mio clemente e bono.
     Rapito da la patria e padre mio,
sotterra posto e servo rivenduto,
carcerato com’om perverso e rio,
     qual merito, qual culto hai da me avuto,
che t’ho fatt’io, Signor, che in un momento
mostrar la tua pietade m’hai voluto?
     Fòr d’ogni speme, in carcere, in spavento,
dal fondo di miseria m’hai levato,
e posto in alto e fattomi contento.
     Questo, Signor, da tua bontade è nato,
questa è sol’opra di tua santa mano,
questa è tua provvidenza e non è fato.
     Quanto pò un cor mortai fragile e umano,
tanto, Signor, ringrazio tua clemenza,
prostrato in terra, in atto umile e piano.
     Ben prego, o magno Iddio, la tua potenza,
che poi che a tanta altezza m’hai condutto,
infondi il spirto mio di tua sapienza;
     ché me medesmo in prima e da poi tutto
il populo d’Egitto a me commesso
ben io governi e con onore e frutto.
     Dammi grazia d’indur, ti prego appresso,
iustizia, veritá, pace e abundanza
in questo regno, che niun sia oppresso.
     Sopra tutto mi guarda da arroganza
per questa altezza, dammi umilitade
e dammi in l’amor tuo perseveranza.
     Ma prego, oltra di questo, tua pietade,
che il vecchio padre mio, se ancora è vivo,
conservi in pazienza e sanitade.
     In summa, fa’ che di tua grazia privo
non mi trovi giammai, questo dimando:
e i mei fratelli, se ben m’hanno a schivo,
     benigno Signor mio, ti ricomando.