Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Operette morali, Poesie latine e volgari, 1929 – BEIC 1788337.djvu/266

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     Onde no’ insieme e quel che ha tolto questa

toi servi e schiavi semo: il tuo parere
fa’ mo di noi, ché dire altro non resta.
Ioseph.   Questo non voglio far, non è dovere.
Quel che ha furato, servo resti qua,
voi altri non vogl’io giá ritenere.
Ruben.   Ora vediamo chiaro quel che fa
l’aver peccato, e come Dio di sopra
vendicarlo e punirlo ancora sa!
     La iustizia di Dio, che a tempo adopra
la sua vendetta, a questo n’ha condutto:
questo ne avviene per nostra mal’opra.
     Io lo diceva ben, quando quel putto
gittammo in la cisterna e po’ il vendemmo:
— Guardiamoci da Dio che vede il tutto! —
     Allora noi quel che sapete feramo
contra il semplice putto et innocente,
e al nostro padre tanta pena demmo.
     Ora Beniamino, per niente
e senza aver fallito, è condannato
e porta lui la pena iniustamente.
     Ma noi soli dovremmo del peccato
portar la pena e non Beniamino,
pover fanciullo, che non l’ha mertato:
     noi soli, dico ancor, non quel meschino
vecchio del padre nostro, che condutto
l’abbiamo a morte: oh giudizio divino!
Ioseph.   Non parlate tra voi qui senza frutto,
ch’altro da quel che ho detto non sera.
Andate mo, ch’avete inteso il tutto.
     Costui mio servo solo rimarrá:
voi altri tornerete al padre vostro.
La pena il peccator sol porterá.
     lllDA. Ascolta umanamente, o signor nostro,
il mio parlare, e il iusto tuo disegno
non mova del tuo petto il sacro chiostro.