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filotimo | 67 |
veritá, metter le mani in carta, mangiar da ogni lato. Ei tutte
le virtú possiede che in sublime causidico si ricercano: audace,
presuntuoso, importuno, impudente. Omo, ti so dire, vivo e
da l’amico.
Berretta. A tante laudi, costui mi par degno, non solo che ’l gli sia tratto di capo, ma d’essere onorato di una collana di canepa! — Ma chi è quest’altro che t’ha fatto mettere il ginocchio in terra?
Testa. Di piano, che ’l non ti senta. È uno che ha la peggior lingua d’omo del mondo: mi pare far bene ad onorarlo per tenermi al meglio ch’io posso il favor suo, acciò che di me non dica male.
Berretta. Misera condizione è la tua: onorar per paura! È segno che de la propria tua virtude e conscienza non ti fidi. Ma ad ogni modo fatto non ti vegnerá, perché il flusso de la lingua è una infermitá, che chi da quella è maculato, mai se la leva, se col bastone da altri non gli è levata.
Testa. Credo che tu dichi il vero. — Ma lassami fare una bella reverenza a costui.
Berretta. Chi è costui?
Testa. Ell’è un gran ricco.
Berretta. Come è fatto cosí ricco?
Testa. Ha saputo ben far li fatti soi, perché è un omo cauto, sollecito, che vede il pelo ne l’ovo e sfende il capello.
Berretta. Gli fu lassata la robba da li soi per ereditá oppure l’ha guadagnata lui?
Testa. Lui l’ha guadagnata, e (quello che piú mirabile ti parerá) in brevissimo tempo.
Berretta. Come ha elio potuto far si presto, a chi non è, come dicono li savi, o iniquo lui o erede di un iniquo?
Testa. Io non sapria dire tante cose; so bene che ’l fu dazierò, e serviva li amici col pegno, poi ministrò bon tempo le entrate regali.
Berretta. Basta, basta, non dir piú. — Dimmi, com’è liberale di questa sua ricchezza?
Testa. È piú arido che non è la pomice.