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330 | lettera |
tili pensieri si occupassero tante persone, che col solo approvare ciò ch’io aveva scritto, potevano incoraggiare gli altri a ricevere le mie instruzioni. Non riflettendo essi alle varie divisioni della storia, nè alle sue suddivisioni, e non considerando che la mia appartiene a quella parte, che storia naturale s’appella, ed in cui è lecito ad ognuno di scrivere sopra quelle cose, nelle quali ha cognizione ed esperienza, si raccapricciarono del mio ardimento; supponendo nell’animo loro, che io avessi posta mano in quella sublime facoltà, che Cicerone dichiarò essere Summum Oratoris Opus. Immaginandosi eglino adunque, ch’essa fosse da me profanata in troppo vile soggetto, quale credono essere quello della seta, non si degnarono neppure di leggerla; quantunque io sappia di certo, che ad alcuni avrebbe potuto giovare ad accrescere le loro rendite, e non avrebbe pregiudicato, ma recato anzi miglioramento alla condizione de’ loro coloni.
Guardimi Dio dall’avere in animo di mettere fra loro in dispregio la memoria venerabile di que’ maggiori, da’ quali l’essere ed i loro beni ricevettero. Io, cercando solamente di renderli avvisati, che non commettano simiglianti errori, e di fargli, se sia possibile,