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XXI.
Pinocchio è preso da un contadino, il quale lo costringe a far da can di guardia a un pollajo.
Pinocchio, come potete figurarvelo, si dètte a piangere, a strillare, a raccomandarsi: ma erano pianti e grida inutili, perchè lì all’intorno non si vedevano case, e dalla strada non passava anima viva.
Intanto si fece notte.
Un po’ per lo spasimo della tagliuola che gli segava gli stinchi, e un po’ per la paura di trovarsi solo e al buio in mezzo a quei campi, il burattino principiava quasi a svenirsi; quando a un tratto, vedendosi passare una lucciola di sul capo, la chiamò e le disse:
— O lucciolina, mi faresti la carità di liberarmi da questo supplizio?...
— Povero figliuolo! — replicò la lucciola, fermandosi impietosita a guardarlo. — Come mai sei rimasto colle gambe attanagliate fra codesti ferri arrotati?
— Sono entrato nel campo per cogliere due grappoli di quest’uva moscadella, e....
— Ma l’uva era tua?
— No....
— E allora chi t’ha insegnato a portar via la roba degli altri?...
— Avevo fame....
— La fame, ragazzo mio, non è una buona ragione per potersi appropriare la roba che non è nostra....
— È vero, è vero! — gridò Pinocchio piangendo — ma un’altra volta non lo farò più.