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invece, si diè a guaire come un can frustato, a cagione di un’altra unghiata traditora, che gli aveva lacerato tutto il fianco in modo da far compassione.

Allora Golasecca, fuori di sè dal dolore, perse la pazienza; e tirate fuori un paio di forbici arrotate, borbottò minacciosamente fra i denti:

— Ora, ora, ti guarisco io dalla malattia delle unghie. Da oggi in là, brutto scimmiottino, sta’ pur sicuro che non graffierai nemmeno la bollita! —

E levatasi la giacca, e sbottonati i bottoni della tasca, si preparava a ficcarci le mani.... quando tutt’a un tratto, uscì fuori un grosso gatto soriano, che avventatosi colle zampe agli occhi del capo-masnada, non c’era verso che volesse staccarsi. Era Nanni, il gatto dell’oste Moccolino.

Alla fine si staccò, e fuggì via per i campi.

Golasecca, urlando dalla rabbia e dallo spasimo, avrebbe voluto inseguirlo: ma lo sciagurato non ci vedeva più! I feroci unghioli del gatto lo avevano accecato!

Golasecca vagò per cento giorni e cento notti in mezzo ai boschi, senza incontrar mai un pastore o un taglialegna, da potergli domandare la strada per ritornare a casa. Una volta, quando i lupi lo vedevano di lontano, se la davano a gambe per la gran paura che avevano di lui; ora sapendolo cieco e incapace a difendersi, gli facevano mille lazzi e mille dispetti. Una volta, gli uccelli e le lepri, all’avvicinarsi di questo spaventoso cacciatore, sparivano come tante ombre: ora gli stessi passerotti, perfino i passerotti di nido, passandogli accanto, gli sbattevano per divertimento le loro ali sul naso, e le lepri e i leprottini gli ballavano fra i piedi la polca e la taran-