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SONETTO XXXII
A la prima cagion quei primi ingegni;
Ed a noi tanti e sì possenti segni
De la bontà di Dio son nudi e frali;4
Ma se non puote gli occhi egri e mortali
Aprir nostra natura, almen si degni
Mirar se stessa, e converrà che sdegni
Di sentirsi intricata in sì gran mali.8
Vedrà come il Signor n’aspetta, e sempre
Tiene al nostro girar più salda e ferma
La stabil pietra de la sua bontade;11
E scorge l’opre nostre con l’inferma
Natura insieme, e vuol, che la pietade
Sua dolce il nostro amaro error contempre.14
SONETTO XXXIII
Ir con le mani pronte, e i grembi aperti,
Color che son de l’altra vita incerti
A raccor lieti il vil breve tesoro:4
E sì cieco guadagno e van lavoro
Esser più caro a quei, che son più esperti,
Che le ricchezze danno, e non i merti
Oggi le chiare palme, e ’l verde alloro.8
Ma non si corre a Dio, che dal Ciel porta
Dentro la piaga del suo destro lato
D’infinito tesor perpetua pioggia,11
E se spirito alcun gli apre la porta;
Dicon che inganna il mondo, o ch’è ingannato
Dal suo pensier, che troppo in alto poggia.14